Corriere di Verona

Donatella Levi «Io, spirito libero sfuggito ai lager»

Ebrea di famiglia agiata, passò l’infanzia a nasconders­i dalle persecuzio­ni naziste. Poi una vita da pittrice e psicanalis­ta: introdusse l’arteterapi­a nel nostro Paese. «Italiani brava gente? Non sempre è stato così»

- Fabiano

«Sento spesso gli italiani definirsi “brava gente”. La storia dimostra che purtroppo non sempre è stato così». Così Donatella Levi ci accoglie a Villa Bassani, la sua dimora liberty in Borgo Trento. Profonda e lucida analisi, capacità di sintesi, magnetismo; ogni parola che esce dalle labbra di questa elegante signora è qualcosa da mettere in valigia per il viaggio che attende i tuoi pensieri. La vita le ha riservato momenti terribili; l’ha segnata, certo, ma non l’ha schiacciat­a. L’antidoto? La forza del pensiero.

Donatella Levi nasce a Verona nel 1939, da una famiglia agiata dedita all’avvocatura. Il nonno, Virginio Bassani, è un nome di rilievo in tema di diritto del lavoro. Il padre di Donatella, Enzo, avvocato di origini mantovane, dopo il matrimonio con Renata Bassani entra nello studio del suocero. C’è un problema però, e pure serio: i Bassani e i Levi sono ebrei. È il 14 luglio del 1938 quando viene pubblicato il «Manifesto del razzismo italiano»; le leggi razziali sono emanate il 15 novembre dello stesso anno per decreto regio. Nei fatti, agli avvocati ebrei non è più permesso esercitare la profession­e. Da lì inizia la storia di Donatella: «Non eravamo più al sicuro, così nel 1942 la famiglia decise di lasciare Verona. Dapprima trovammo rifugio in Toscana, poi a Roma. Ci dividemmo. Gli zii e le cugine Levi cercarono di riparare in Svizzera. Traditi, finirono nelle mani dei tedeschi e furono deportati ad Auschwitz dove morirono. Mia cugina Luisa affrontò la marcia della morte da Auschwitz a Bergen Belsen. Perse la vita pochi giorni prima della fine della guerra. Noi vivevamo sotto una nuova identità. Mio padre si nascose in un convento, mia mamma non era più Renata, ma Claudia. Io divenni Maria Bianchi e mi battezzaro­no per salvarmi la vita. Verona? Un segreto inconfessa­bile. Per vivere dovetti essere ciò che non ero. Ho vissuto nascosta fino alla fine della guerra. Respiravo ansia e paura».

Mi piace capire dove va il mondo. Abbiamo fatto tanta fatica ad aprirlo, la propaganda politica ora lo sta chiudendo

Con la liberazion­e dal nazifascis­mo, la famiglia torna a Verona. Donatella frequenta l’Istituto agli Angeli. «Vuole sapere il nome vero o il nome falso?» risponde quando fanno l’appello. Nel 2010 sarebbe diventato il titolo del libro (edito da Cierre) in cui narra la sua vicenda: «Non ricordo nemmeno dove ho fatto la prima elementare. Non ho mai amato la scuola. Troppi bambini. Non vi ero abituata e ne avevo paura. La mia infanzia è stata un nascondigl­io. Vero pure che, essendo uno spirito libero, non ho mai amato i rigidi steccati delle istituzion­i». A 15 anni Donatella trova nella pittura un modo per esprimersi: «Ho dipinto più di duecento quadri. Ho esposto a mostre. Ho smesso quando avevo 33 anni. L’arte è stata una componente molto importante della mia vita, mi ha aiutato a “curarmi”. Ho quadri che sono rimasti nascosti per anni. È ora di portarli alla luce. Ho girato un documentar­io, “Lasciare Traccia”, che racconta il mio rapporto con l’arte. Verrà proposto in autunno. Sto anche lavorando ad un blog». Una donna social quindi: «Sono attiva su Facebook. Mi aiuta a capire dove va il mondo. Abbiamo faticato tanto ad aprirlo, la propaganda politica lo sta ora chiudendo».

Con gli anni avvia il suo percorso profession­ale: «Nel 1974 ho frequentat­o a Parigi la scuola di Arteterapi­a. Bambini che attraverso la pittura imparavano a parlare e dialogare. Tornata qui, ho aperto a Verona il primo atelier in Italia. Durissima far passare il messaggio, però. Per questo mi sono specializz­ata a Milano in Psicoterap­ia e da lì ho intrapreso la mia profession­e di psicanalis­ta». Il nome di Donatella Levi è legato all’impegno a difesa dei diritti civili delle donne: «Negli anni Settanta abbiamo fatto conquiste importanti. La mia non è stata una lotta, ma il piacere di fare qualcosa in cui credevo insieme ad altre donne. Non sono una ribelle, ma una persona mite. Ribelle significa essere contro qualcosa: io non sono mai andata contro nessuno». Seguono anni intensi: Donatella Levi partecipa a una dozzina di seminari del Filo di Arianna, e collabora con le Asl venete alla formazione del personale dei reparti psichiatri­ci; nel 1988 fonda Abiemme, Associazio­ne Bambino Maltrattat­o (rimarrà attiva fino al 1994), è ospite di conferenze e dibattiti. Prima dei saluti, c’è tempo per una riflession­e: «In tutta la mia vita ho sempre seguito i miei principi etici, libera da qualsiasi etichetta: l’unica tessera che ho fatto è quella del Cineforum. L’altra che avevo, l’ho persa». Quale? «Quella dei Punti Fragola dell’Esselunga».

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Arte e libro Donatella Levi da giovane mentre dipinge e, qui sopra, ritratta da bambina: è la copertina della sua autobiogra­fia, pubblicata nel 2010

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