L’ex Hellas Rebic Ieri «peone», oggi in finale al mundial
In gialloblù non incise, a «Russia 2018» è un perno della Croazia E oggi assalta la Francia
La sua storia con l’Hellas è finita presto. Un palo colpito all’Olimpico con la Roma, qualche acciacco, un potenziale evidente quanto inespresso: in 10 partite in gialloblù, Ante Rebic pareva essere il tipico talento sprecato, uno dai grandi numeri e dalle molte lune, e spesso storte. Oggi, alle 17, sarà lui uno dei leader della Croazia che, a Mosca, si giocherà il Mondiale con la Francia.
Dalla panchina col Verona alla grandezza in Russia sono passati due anni e poco più: all’Hellas ci arrivò a gennaio 2016, prelevato in prestito dalla Fiorentina, in cui faceva più tribuna che panchina, inserito in una squadra che stava sprofondando in Serie B e che Gigi Delneri tentò, invano, di risvegliare. Il Baffo, su Rebic, puntò subito. Ecco, ci fu quella domenica romana, giorno 17 del mese, 1-1 alla prima di ritorno, il Verona in rimonta e, appunto, a spingere verso il pari fu proprio l’attaccante, fresco di approdo in quell’Hellas poco meno che condannato. Un diagonale arcuato che spedì il pallone a centrare il montante, l’argento vivo addosso: il biglietto da visita di Rebic fu questo. Peccato che il seguito non sia stato in assonanza con le premesse. D’altronde l’Hellas aveva girato la boa dell’andata con 8 punti. Farne 20 nella seconda parte del campionato fu un’inezia che produsse l’inevitabile verdetto, ossia la retrocessione, all’ultimo posto. Impallidirono presto, così, pure le doti di Rebic, su cui, dopo, non ha mostrato sufficiente fiducia nemmeno la Fiorentina, che l’ha ceduto in Germania, all’Eintracht Francoforte. Eppure la dirigenza viola tanto sicura che Rebic non potesse sbocciare non era, se è vero com’è vero che ha conservato il diritto al 30 percento del prezzo di rivendita del cartellino della punta.
Una mossa ispirata, questa, perché ora Rebic è un pezzo pregiatissimo del mercato. Il Manchester United è pronto a offrire 44 milioni di sterline (50 milioni di euro) per metterlo sotto contratto. Lo seguono anche Tottenham ed Everton, lo tenta il Bayern Monaco, club sulla cui panchina si è seduto Niko Kovac, l’allenatore che ha trasformato Rebic da cavallo poco disciplinato a «spada» d’attacco: una sua doppietta ha consegnato all’Eintracht la Coppa di Germania, a maggio, togliendo il trofeo, guarda caso, al Bayern.
Ma è al Mondiale che tutti gli occhi si sono aperti e hanno visto la luce. Nell’assetto tattico tutto in verticale studiato dal ct croato Zlatko Dalic, Rebic è un energizzante, una forza della natura che sulle fasce in combinazione con Ivan Perisic o, all’occorrenza, al centro della batteria offensiva, scuote le difese avversarie con la forza di un tornado. Mai una prestazione incerta, mai un calo di rendimento: finte, dribbling, il gol d’astuzia e di classe che ha aperto il 3-0 rifilato all’Argentina: tutto questo è Rebic. A Verona è stato una comparsa e in tanti se ne sono dimenticati in fretta. Questo pomeriggio insegue la leggenda: alzare la Coppa del Mondo con la nazionale di un Paese di 4 milioni di abitanti. Se a Roma non ci fosse stato quel palo a negargli il gol, chissà se sarebbe cambiato qualcosa. Il calcio, come la donna gozzaniana, è un mistero senza fine bello.
Ma Russia 2018 ha avuto altre tracce di gialloblù del passato: l’Islanda di Hallfredsson ha sognato e si è spenta, il Messico di Marquez ha chiuso agli ottavi col Brasile, come la Svizzera di Behrami – e in cui c’era anche Gelson Fernandes, ex Chievo –, eliminata dalla Svezia di Helander (bloccato presto dalla gastroenterite), Caceres con l’Uruguay ha ceduto nei quarti alla Francia. Seung-woo Lee, da rincalzo della Corea del Sud, ha gioito per il clamoroso ko inflitto alla Germania. Rebic e la Croazia, tuttavia, sono un’altra cosa.