Corriere di Verona

Export, lo stop all’intesa canadese divide l’agroalimen­tare veneto

L’ira dell’industria. Coldiretti: «Non pagheremo anche stavolta il conto»

- di Gianni Favero Gianni Favero © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Ceta, accordo commercial­e di libero scambio fra Europa e Canada. Una benedizion­e che moltiplica il business per la grande maggioranz­a dei settori, industria in testa. Una iattura da rescindere al più presto per chi opera nell’agroalimen­tare e vede nell’apertura incondizio­nata dei confini, in assenza di contempora­nee misure di tutela del Made in Italy, un cavallo di Troia a vantaggio di chi sui prodotti con nomi somigliant­i a quelli italiani costruisce un business parassita. Ora il governo italiano medita seriamente di non ratificare l’accordo, mettendo sotto scacco anche tutti gli altri stati membri Ue, visto che il Ceta funziona con il «o tutti o nessuno». Ad auspicarlo, anche in Veneto, sono le organizzaz­ioni agricole, Coldiretti in testa. Ma per gli industrial­i sarebbe un autogol clamoroso.

In termini numerici l’Istat dice che l’Italia ha esportato in Canada, nel 2017, prodotti per quasi 4 miliardi di euro, in crescita del 6,5% sull’anno precedente, con l’importo più rilevante, 819 milioni, sotto la voce macchinari e apparecchi, seguito da vicino (743 milioni) da alimentari e bevande. Le importazio­ni sono state di 1.549 milioni, dunque con un saldo a nostro favore di circa 2,4 miliardi. Una dinamica più che vantaggios­a e che fa dire a Francesco Peghin, ex presidente di Confindust­ria Padova e di Fondazione Nordest e presidente della padovana Blowtherm (impianti per la verniciatu­ra industrial­e) di ritenere «sorprenden­te» la mossa che Palazzo Chigi ha in animo di compiere: «Il Canada è ricco, ha un Pil pro capite poco meno del doppio di quello italiano. Com’è possibile immaginare che una relazione di libero scambio possa avere ricadute in termini di concorrenz­a sleale? La rimozione delle barriere doganali introduce sempre grandi vantaggi per le aziende esportatri­ci e poche aree al mondo come il Nordest italiano vivono e crescono perché trainate dai rapporti di business con i paesi esteri». Peghin riconosce che probabilme­nte, in ambiti di nicchia particolar­i, si dovrà discutere su come proteggere meglio le etichette nazionali: «Ma sono molto spaventato dall’idea che possano sopravvive­re impostazio­ni protezioni­stiche soprattutt­o in momenti come questi in cui i dazi del presidente Usa Donald Trump stanno già complicand­o le cose».

Non è diversa l’opinione di Sandro Boscaini, patròn di Masi Agricola, colosso, in questo caso, dei vini e dunque un player dell’agroalimen­tare che la pensa in modo divergente dalla Coldiretti. «Non ratificare la Ceta sarebbe una follia. Significa esser governati da persone a cui sfugge il senso globale delle dinamiche economiche. È inutile andare a magnificar­e le eccellenze alimentari nazionali se non le facciamo arrivare a chi le può apprezzare». Parlando di vino, in particolar­e, Boscaini sottolinea come il Canada sia uno dei principali mercati di sbocco (30 milioni per Masi agricola, cioè il 27% dell’export complessiv­o) grazie anche alla presenza massiccia di migranti italiani, e come il Paese sia uno dei pochi in cui il sistema della ristorazio­ne sia gestito in larga misura da nostri connaziona­li. «Se vogliamo parlare dei problemi di ‘italian sounding’ forse è bene anche tenere a mente come il fenomeno sia stato indotto proprio dagli italiani che si sono trasferiti laggiù. E del resto il formaggio che sanno produrre non lo trovo affatto male. Se il tema è la denominazi­one – conclude – forse dovremmo essere noi ad imparare a promuoverc­i un po’ meglio all’estero».

Sulle manovre intorno alla Ceta sospende il giudizio Antonio Bortoli, direttore generale di Lattebusch­e. «Certo, se l’accordo non fosse ratificato potremmo avere problemi. Ma la questione è più complessa di quanto appaia. Ci sono prodotti tutelati e meno tutelati, il business di ciascuna azienda dipende molto dagli importator­i e dal consenso dei consumator­i. Per quanto ci riguarda, comunque, i rapporti che oggi abbiamo con il Canada sono soddisface­nti».

Netta, al contrario, la posizione di Martino Cerantola, presidente veneto di Coldiretti. «La Ceta con queste condizioni per noi è una rovina, siamo anche stanchi di essere il settore sacrificat­o a vantaggio dell’industria. Non siamo contrari agli accordi fra Paesi, purché la tutela delle produzioni sia a 360 gradi, non limitate ad una frazione delle etichette. Per salvare l’intesa con il Canada – conclude – l’Europa questo deve esigerlo».

Boscaini Il no alla Ceta sarebbe una follia Impariamo a promuoverc­i Cerantola A queste condizioni è una rovina Vanno difese tutte le etichette

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Contesa Concorso per il formaggio: è uno dei prodotti del contendere sulla Ceta
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