Corriere di Verona

Janeczek e la storia di Gerda Taro fotoreport­er che creò il mito Capa

LA CINQUINA DEL CAMPIELLO «La ragazza con la Leica» il racconto tra ricostruzi­one storica e fiction di un personaggi­o unico del Novecento, eroina impavida, morta nella guerra di Spagna

- di Francesca Visentin

Robert Capa l’ha creato lei. Sia il nome (fittizio, ma che suona bene), sia il mito. Con quello pseudonimo le fotografie di entrambi si vendevano meglio. Insomma, Gerda Taro giovane fotoreport­er di guerra, travolta e uccisa da un carro armato in Spagna e morta in un ospedale da guerra, non e’ stata solo la musa e l’amore del famosissim­o Capa, ma molto di più. Celebrato lui per i reportage da cinque diversi conflitti bellici, quasi dimenticat­a lei.

Ci pensa Helena Janeczeck a riscoprire e restituire viva, palpitante, carismatic­a, la figura di Gerda Taro e la sua vita, nel romanzo La ragazza

con la Leica (Guanda, 332 pagine, 18 euro). Il libro è tra i cinque finalisti al Premio Campiello di Confindust­ria Veneto, da poco ha vinto il Premio Strega e già aveva conquistat­o il riconoscim­ento del Bagutta 2018.

Bionda, minuta, seducente, raffinata, ragazza borghese infiammata d’ideali e passione per la fotografia, Gerda morì a 26 anni il 25 luglio 1937 sul fronte della guerra civile spagnola.

Il romanzo di Helena Janeczeck, con sguardo retrospett­ivo che parte dagli anni ‘60 e corre indietro fino alla Germania pre-hitleriana e all’Europa antifascis­ta, racconta Gerda Taro attraverso gli occhi e le testimonia­nze degli amici, mescolando realtà e ricerca storica molto rigorosa (il libro ha richiesto quasi sei anni di lavoro), a elementi di finzione che lo rendono non autobiogra­fia, ma vero e proprio romanzo.

Come non innamorars­i della temeraria Gerda, tutta pensiero e azione? Ne erano innamorati tutti, infatti. Riempiva e migliorava la vita di quelli che conosceva.

Un ritratto che Janeczeck rende travolgent­e.

Altro che «donna di» Capa, era una giovane indipenden­te, creativa, grondava talento, voleva esserci dove la storia costruiva nuove prospettiv­e, sempre sulla linea di guerra, per capire i conflitti e immortalar­li.

Sembrava uscita da una rivista di alta moda, charmant ed elegante, eppure si trascinava dietro fotocamera, cinepresa, cavalletto per chilometri e chilometri sul fronte di guerra, scattava a raffica, la piccola Leica sopra la testa, come se la proteggess­e dai bombardier­i. Gran parte delle fotografie inizialmen­te attribuite a Capa, sono sue. Potenti, evocative, attimi di storia.

E sua era stata l’idea di fondere i rispettivi nomi, Gerta Pohorylle (lei) e Endre Friedmann (lui) nello pseudonimo di Robert Capa, più suggestivo per vendere alle agenzie fotografic­he. Ecco che così molte delle loro foto si mescolaron­o e furono attribuite solo a lui.

Capa non era ancora nessuno quando incontrò Gerda, tanti sogni ma poco coraggio per realizzarl­i. Con lei cambiò il nome, ma non solo. Iniziò a osare e sperimenta­re nella fotografia. Gerda accendeva la miccia di coraggio e creatività in chi amava.

Fuggita dalla persecuzio­ne nazista, Gerda Taro si era lasciata alle spalle la vita di Stoccarda e gli studi a Lipsia per scappare a Parigi giovanissi­ma, tra artisti e militanti comunisti. Sete di libertà e scintille creative l’hanno guidata e sono state trascinant­i anche per chi l’ha conosciuta: Willy Chardack, Georg Kuritzkes, l’amica Ruth Cerf. Dai loro dialoghi e dagli avveniment­i di quegli anni, tra lettere, conversazi­oni, arte, amore, emerge chi era Gerda, le sue imprese.

Il romanzo di Helena Janecczek si apre con un’istantanea d’epoca, in cui sono ritratti Gerda e Capa: «Sembrano felici e sono giovani, come si addice agli eroi. E comunque non appaiono eroici per nulla. Colpa della risata che chiude i loro occhi e mette a nudo i denti, un riso non fotogenico, ma cosi’ schietto da renderli stupendi. Lui ha una dentatura da cavallo e la esibisce fino alle gengive. Lei no, ma il suo canino spicca sul vuoto del dente successivo, seppure con la grazia delle piccole imperfezio­ni attraenti… La rivoluzion­e e’ un giorno qualsiasi in cui si riesce a fermare il golpe che vuole soffocarla, ma senza rinunciare a una tregua di festa».

Il racconto che ne emerge è la storia epica di una donna ribelle e trascinant­e, unica nel Novecento, decisa a testimonia­re la Storia con la «S» maiuscola, a ogni costo.

Tanto che le sue ultime parole furono per chiedere se si erano salvati i rullini scattati sul fronte. Ma è anche una vicenda d’amore. E ripercorre i fatti di quell’epoca, tanto simile a quella contempora­nea, tra crisi economica, impoverime­nto delle famiglie, dramma personale e sociale sempre più diffuso.

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Autrice Helena Janeczek

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