EVITIAMO L’IDEOLOGIA STRADALE
Con ormai una certa costanza non passano mesi in cui si ripresenti nel dibattito pubblico l’annosa questione dell’intitolazione delle strade. E’ di questa estate la proposta su un personaggio politico della destra italiana quale Giorgio Almirante e la conseguente rigida presa di posizione della Comunità ebraica romana. Similmente, a Verona si è discusso di un personaggio geniale quanto dividente quale il poeta maledetto Julius Evola. Quando viene proposto il nome di Norma Cossetto, giovane infoibata istriana, pur decorata con una medaglia d’oro al merito civile da parte del Presidente Ciampi, spesso è ancora oggetto di aspre polemiche e di discordanti prese di posizione. Ancora, a Bologna il Consiglio Comunale è diviso davanti alla proposta di dedicare un luogo pubblico a Federico Aldrovandi, il diciottenne morto a Ferrara nel 2005 durante un controllo di polizia.
E’ dalla Rivoluzione Francese che l’intitolazione delle strade è diventato «affare» proprio della politica, perdendo quella peculiarità spontaneistica e comunicativa che aveva contraddistinto il mondo medievale, per trasformarsi in un problema amministrativo.
L’esigenza di sistematizzazione dell’impianto stradario, infatti, è alimentata da un bisogno eminentemente pratico di facilità nella comunicazione e razionalizzazione del territorio, ma al contempo conferisce alla scelta dei nomi dei luoghi e delle vie un senso di appartenenza alla comunità.
Il Comune si trasforma, così, in «intitolatore» e poliedrici sono i profili che sottendono una materia, quale la toponomastica, che precipuamente ha visto convergere gli interessi di storici, glottologi, sociologi, antropologi, architetti e linguisti. Lo spazio, allora, assume un portato ideologico sommerso ed inaspettato, rispecchia un vissuto nella quotidianità, instaura un rapporto indelebilmente confidenziale con la gente. Infrangendo quel legame tra la denominazione e la realtà urbana fatto di motivi funzionali, di sensibilità e identità cittadina, della presenza di mercati, stazioni di cura o istituzioni religiose, il potere politico nega il suo passato e assorbe, tra gli obiettivi primari, la scelta e la classificazione delle strade. Il carattere propagandistico e persuasivo che esso deve sussumere per mantenere un certo grado di condizionamento ed equilibrio tra i governati, trascende il rapporto economico, sociale, giuridico o burocratico per invadere campi inattesi.
Il nome della strada punta di conseguenza a svegliare la coscienza popolare attraverso l’utilizzo di denominazioni ideologicamente connotate. Ne emerge una frenesia nomenclatoria che oltrepassa gli scopi funzionali e classificatori, per porsi distintamente una finalità culturale, un intento propulsivo delle coscienze cittadine, un’esegesi didattica e formativa delle percezioni collettive, quasi le strade possano promuoversi a «giornale politico» a cielo aperto. Lo spazio urbano viene così lentamente trasformato nell’emblema della spersonalizzazione dei rapporti e dei luoghi, l’interazione tra cittadino e territorio, una sorta di rappresentazione teatrale in cui il primo patisce condizionamenti e scelte di campo precondizionate e politicamente imposte.
La città, dal canto suo, è data dalla sommatoria di segni materiali che si sono sovrapposti, selezionati e spesso elisi nel corso della Storia, e che nel loro complesso sono espressione della cultura, delle pulsioni, delle mentalità dei suoi abitanti, delle strutture economiche e politiche che hanno espresso. E probabilmente questa opportunità di arricchimento non andrebbe persa davanti ad opzioni burocraticamente rigide o scelte prettamente formalistiche.