«Marchi di casa e controllo in famiglia Così De Rigo si farà strada tra i colossi»
I 40 anni del gruppo degli occhiali: «Il web non potrà sostituire gli ottici»
I primi quarant’anni non hanno lesinato soddisfazioni e la festa in programma stasera, nello stabilimento De Rigo di Longarone, con i mille dipendenti dell’azienda, lo intende sottolineare in modo chiaro. Le previsioni per i prossimi quaranta sono un po’ troppo a lunga gittata ma per il futuro vicino il presidente e fondatore, Ennio De Rigo, è certo di due cose. Che il gruppo rimarrà saldamente in mano alla famiglia e che De Rigo non parteciperà alla sempre più accesa battaglia sulle griffe di cui i maggiori competitor dell’occhialeria sono protagonisti: «Non siamo certo piccolissimi ma non c’è dubbio sul fatto che su questo le difficoltà aumenteranno».
Il riferimento è ai movimenti sempre più esuberanti di colossi come Kering o Lvmh, anche alla luce della recente intesa con il vicino di capannone Marcolin che ha creato Thelios. Senza citare il fuoriclasse Luxottica. Ci sarà ancora spazio per realtà del vostro taglio?
«Bisogna tener presente che nel nostro settore non si vendono solo griffe dell’alto di gamma. I nostri marchi, ad esempio, da soli realizzano il 30% del fatturato e parliamo di marchi come Police, Lozza e Sting. È quel segmento che oggi si definisce come ‘lusso accessibile’, quella fascia media, cioè, che fatti due conti raccoglie senz’altro la maggioranza dei consumatori. È su questo canale che intendiamo insistere e consolidare la nostra presenza sui mercati internazionali».
De Rigo ha chiuso il 2017 con ricavi per 430 milioni, in crescita del 5%. Guardate all’ingresso di investitori esterni? C’è qualcosa nell’aria?
«Se parliamo di fondi direi senz’altro di no. Siamo alla seconda generazione, ai vertici con me e mia moglie, Emiliana, ci sono i nostri figli, Massimo e Barbara, oltre al genero, Maurizio Dessolis, e l’amministratore delegato storico, Michele Aracri. Faremo sempre il possibile per mantenere il controllo, soprattutto perché vogliamo rimanere presenti ed importanti per il tessuto economico e l’occupazione di questo territorio. A Longarone lavorano mille dei nostri tremila collaboratori (gli altri sono nelle catene di proprietà General Optica, in Spagna, Mais Optica, in Portogallo, e Opmar Optik, in Turchia, ndr). Conservare la produzione in Italia non è impresa facile, dati i costi, ma per noi è centrale. Se entrasse un operatore di Private Equity, al contrario, è certo che a pilotare le sue scelte sarebbero solo calcoli di natura economica».
Nel Bellunese, intanto, sta per affacciarsi il retailer tedesco Fielmann in cerca di produzioni di qualità e di sbocchi nel nostro Paese.
«Abbiamo rapporti da anni, è un ottimo imprenditore. Un dato in più che conferma come ai tedeschi interessi il mercato italiano».
Tornando ai lavoratori. Nella valle del Piave pare ci sia un grande andirivieni di personale specializzato fra un’azienda degli occhiali e l’altra.
«Piuttosto normale. Siamo abituati a contenderci addetti che crediamo siano i più capaci e questo penso conduca ad un miglioramento complessivo della qualità degli addetti. Certottica, del resto, sulla formazione sta lavorando molto bene, i giovani che escono dalle scuole sono volonterosi, di buon livello e più ‘svegli’ di quanto non lo fossimo noi alla loro età».
Come state vivendo quest’epoca di ‘4.0’, di digitale, di commercio elettronico sempre più pervasivo?
«L’ottica non è come l’abbigliamento, se hai bisogno di occhiali da vista non ti puoi certo rivolgere ad Amazon. Il fatto di gestire catene che operano su questo campo ci assicura una fascia di business che non può essere soppiantata dai canali sul web. Un ottico è un paramedico, chi ne ha bisogno vi si deve recare personalmente e questo per noi è importante».