Veneto senza medici, rimpallo di responsabilità Gli atenei: «Più risorse»
La politica: «No al numero chiuso». Il Bo: «Scelte del ministero»
Il fulmine, in un cielo sanitario tutt’altro che sereno, lo aveva scagliato venerdì scorso il direttore generale Domenico Mantoan in commissione regionale. «Il vero problema — aveva tuonato — è che non abbiamo più medici e il motivo è che lo Stato ha sbagliato la programmazione. Da dieci anni il ministero dell’Istruzione l’ha basata non sul fabbisogno espresso dalle Regioni, ma sulle logiche dell’Università e il risultato è che non troviamo specialisti, soprattutto per gli ospedali periferici». Un j’accuse diretto, quello di Mantoan. E se a mancare è la risposta dello Stato, con il ministro alla Salute Giulia Grillo che non vuole intervenire su quello che ormai è il «caso Veneto», è inevitabilmente partito lo spetalamento delle responsabilità.
Che non sia l’Università a dettare le proprie logiche, ma che il problema vada cercato altrove e in particolare nella mancanza di fondi, ne è convinta la professoressa Patrizia Burra, prorettore alla formazione post lauream dell’Università di Padova. «In realtà —spiega — c’è una discrepanza che dura da anni, tra la programmazione e il fabbisogno di specialisti che viene calcolato nella conferenza StatoRegioni. Fabbisogno che poi viene comunicato a due ministeri, quello della Salute e quello dell’Istruzione. E che poi, dal punto di vista finanziario, viene vagliato da quello dell’Economia. L’Università ha “solo” il compito di formare i futuri specialisti. Quest’anno la conferenza Stato-Regioni aveva stimato un fabbisogno di 8200 posti. Ne sono stati assegnati 6.200. Duemila in meno di quelli richiesti, ma comunque un centinaio in più rispetto a quelli dell’anno precedente. A Padova negli ultimi tre anni i posti dati con i finanziamenti ministeriali sono costantemente aumentati. Come sono in aumento le borse di studio date dalla Regione. Quindi uno sforzo da parte di tutti c’è. Ma sono i ministeri che programmano, non l’Università». E che si tratti di una situazione incancrenita da tempo, da risolvere soprattutto dal punto di vista economico è il pensiero del professor Alfredo Guglielmi, presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia di Verona. «C’è un’onda lunga che deriva dall’andata in pensione dei medici che si erano specializzati quando non c’era il numero programmato. Un’onda che può essere smorzata solo aumentando il numero di medici che possono accedere alle scuole di specialità, cosa che ovviamente comporta un costo che va ripartito tra Stato e Regione».
Ad assolvere gli atenei è anche il professor Giorgio Palù, ultimo preside della facoltà di Medicina e Chirurgia di Padova. «L’”errore” non è univoco», analizza. «Con la Regione noi abbiamo deciso un piano che ha sfornato centinaia di diplomi di laurea. Dagli infermieri alle ostetriche, dai tecnici di radiologia agli audioprotesisti. Quelle lauree erano state coordinate con la Regione proprio per andare a supportare e sgravare il lavoro degli specialisti. Ma, evidentemente, così non è stato. E chi pensa che aprire il numero chiuso sia una soluzione, fa un errore madornale. In Veneto, come in altre parti d’Italia, pullulano gli ospedali, ma mancano le strutture per formare i futuri specialisti. Il compito dell’Università non è solo quello di “sfornare” specialisti, ma di fare formazione e ricerca. E questa è una peculiarità che non è derogabile ad altri».
Sul fronte politico a dar manforte all’analisi di Mantoan è colui che tra il 2011 e il 2012 era chiamato «mister sanità». L’allora assessore regionale Flavio Tosi. «Già in quegli anni — racconta — la situazione si stava aggravando, peggiorata dall’introduzione del numero chiuso. Era talmente stretto che avevamo valutato di poterci trovare nella situazione di oggi, ma di certo non si può imputare la cosa all’Università». Se per Tosi la panacea rimane lo sblocco del numero programmato, il capogruppo del Pd in Consiglio regionale Stefano Fracasso ha scritto una lettera ai parlamentari veneti del partito. «Senza un’inversione di tendenza sulla disponibilità di medici - ha vergato -, la proposta del nuovo piano socio-sanitario rimarrà solo un libro delle buone intenzioni... La questione andrà affrontata immediatamente, nella prossima legge di stabilità».
Patrizia Burra Negli ultimi anni sono aumentati i contratti statali e le borse di studio regionali, ma per formare più specialisti servono più investimenti