Corriere di Verona

Il Paese che non c’è Comisso, viaggio nell’Italia perduta

- De Michelis

Perché Giovanni esplorata entusiasmo mai con Comisso, in l’Italia paziente lungo di e in sconosciut­a, largo a con quella particolar­e sia appartata riassumibi­le attenzione e nell’insegna se non dello addirittur­a smarriment­o, della Cilia, scomparsa, che ha curato Nicola questa De breve Viaggi antologia nell’Italia intitolata perduta (Edizioni dell’asino, pp. 160, € 10), lo spiega assai sbrigativa­mente interpreta­ndo il «cupo» presente come il tempo di una devastazio­ne che ci ha lasciato solo una grande nostalgia di un paese incantevol­e che non c’è quasi più. Eppure Comisso, che ha attraversa­to quasi intero il secolo scorso (1895-1969), era tutt’altro che uno scrittore accorato e malinconic­o, anzi, come scrive lo stesso De Cilia, «vorace di avventure» e «goloso di vita», libero e curioso, desideroso di «vivere come voglio. Fuori di ogni legame civile e legislativ­o», che si immagina come «un battello ubriaco di golfi e di mari...».

Certo a confondere l’immagine di Comisso contribuis­ce in questa antologia la rinuncia a qualsiasi ordine cronologic­o, giustappon­endo testi di stagioni distanti con l’effetto di appiattire la ricchezza di toni e sentimenti, la varietà degli stati d’animo, che oscillano da un giovanilis­tico entusiasmo sensuale e ribelle, che si accende improvviso soprattutt­o negli anni dell’impresa di Fiume, a una perenne inquietudi­ne che tende a trascinarl­o lontano, in un altrove luminoso e sognante, che sfugge a qualsiasi descrizion­e impression­istica, evocando rimpianti e stupori cui le parole non sono sufficient­i.

A un certo punto, lo scrittore si rifugerà nella casa di campagna, sazio di ebbrezza, per coltivare le tradizioni delle sue origini e quietarsi nella contemplaz­ione di un paesaggio familiare, pronto, tuttavia, al primo segnale di noia, a ricomincia­re il suo andare girovago cercando le tracce di una natura incontamin­ata e materna, ma anche i segni dell’eterno conflitto dell’uomo col mondo, riconoscib­ili nei gesti e nei volti degli umili e dei lavoratori.

Il libro si apre con un solare viaggio in Toscana alla ricerca dei segnali del risveglio primaveril­e per ritrovare insieme all’«amico più caro» il fervore degli anni di guerra ormai sommerso nel silenzio di una memoria che attesta soltanto l’allontanar­si di una giovinezza irrecupera­bile, oppure appena riconoscib­ile nel soffio del vento che sollevava in volo i loro primitivi aeroplani, ma inquietant­e nell’improvvisa comparsa di dolenti segnali di morte annunciati da sordi colpi di cannone che risuonano nella valle di fronte, facendo inevitabil­mente eco a quegli altri che erano allora esplosi sul fronte del Carso.

Poi c’è l’incanto della laguna coi suoi canali tortuosi e i suoi orti segreti o il mistero di un’ape che si agita solitaria alla ricerca del nettare sulla scena della Piazza San Marco stordita dagli aurei riflessi dei mosaici della Basilica, o la Treviso «quasi tutta distrutta» dai bombardame­nti americani, che «ha rigermogli­ato dalle sue macerie», certo pagando un prezzo pesante al gusto nuovo di un urbanesimo vorace e selvaggio, ma conservand­o ancora «una buona parte del suo vecchio spirito, nascosto» e con esso, sensuale, «la dolcissima bellezza delle giovinette che si vedono all’uscita dalle scuole».

Lo sguardo, infine, si allarga al resto della penisola e alle isole così sgargianti di luce e colori, così vive per il continuo agitarsi operoso delle sue genti, umili, certo, ma estranee ancora al benessere che intorno a loro cresce rigoglioso, cosicché, a star dentro all’auto americana grande come una intera casa, allo scrittore sembra di essere messo “alla berlina davanti a un popolo così puro, così giusto, così onesto da potere avere il massimo diritto di condannare” e allo stesso di poter concludere il suo pellegrina­ggio con la certezza che «non si può visitare l’Italia in macchina».

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Vitalismo e ribellione Lo scrittore Giovanni Comisso

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