Corriere di Verona

Renzo, Natalino e la passione per il mare

La rabbia delle famiglie Rossi e Gavagnin, vicini di casa

- di Giacomo Costa

«Uscivano in coppia, almeno per le battute notturne, proprio perché non si fidavano più ad affrontare il mare da soli, arrivati a una certa età. Avevano le luci di prua e di poppa, erano molto prudenti, eppure tutto questo non è bastato: due famiglie sono state distrutte per la bravata di qualche ragazzo». Gli occhi rossi dal pianto, lo sguardo esausto di chi non ha dormito, ma una grande lucidità, anche in una circostanz­a tanto difficile. La moglie di Natalino Gavagnin, l’operatore sanitario in pensione rimasto ucciso nell’incidente nautico di venerdì notte, non ha dubbi sulle responsabi­lità di quello schianto: «Stamani sono stata all’ospedale per riconoscer­e la salma di mio marito - racconta la signora Vianello - Il suo corpo era stato scagliato lontano, dala nuca fino alla fronte aveva una ferita tremenda, forse causata dall’impatto con qualche palo. Perché fosse ridotto così significa che l’altra barca è arrivata loro addosso come una cannonata, non ci sono altre possibilit­à». A chi le chiede se i due erano consapevol­i della pericolosi­tà di quel tratto di canale, la donna risponde con una smorfia: «Certo, lo sanno tutti. Ma è possibile che un canale di Venezia sia considerat­o “pericoloso”? È giusto?».

Natalino per tutti era «Natale», e non per questioni di assonanza: «Si preoccupav­a di portare sempre qualcosa ai colleghi, qualche regalo, spesso proprio il pescato della notte in barena», spiega ancora la moglie. Gavagnin ha lavorato fino a due anni fa all’ospedale Civile di Venezia, e ieri anche la Usl 3 ha voluto ricordarlo: «Infermiere competente e appassiona­to, con esperienza maturata in diversi reparti,

La vedova Erano molto prudenti, uscivano in coppia proprio per evitare rischi Avevano le luci a prua e a poppa, ma l’altra barca deve essergli arrivata addosso come una cannonata, o non si spiegano la violenza dell’urto e le ferite

persona affabile e sempre disponibil­e». «Si ricordavan­o ancora tutti di lui - insiste la moglie - Quando l’hanno tirato su dall’acqua non aveva con sé documenti, ma i suoi colleghi l’hanno riconosciu­to immediatam­ente».

Gavagnin lascia tre figli - Lara, Giovanni e Nicola - e cinque nipotini. Ieri molti di loro si erano riuniti tra i locali di via Garibaldi, a Castello, dove li conoscono tutti: «Nostro padre viveva per una cosa sola: la barca», ripetevano Giovanni e Nicola. E sulle pareti di quegli stessi «bacari» campeggian­o le foto di Renzo Rossi, l’altra vittima dell’incidente. «Con lui andavamo a caccia, a pesca, a tirare al piattello - dice il barista della trattoria «Alla Rampa», mostrando un ritratto dell’intero squadrone di amici, tutti in posa, tutti bardati in alti stivaloni di gomma, cappellini da caccia e giubbetti mimetici - Era una persona incredibil­e, piena di voglia di vivere e di coinvolger­e gli altri nelle sue passioni». Già pilota di vaporetti per Actv - l’azienda per il trasporto pubblico lagunare - da qualche anno aveva ottenuto una licenza da tassista e si era spostato nel settore privato. Venerdì notte i due compagni di pesca erano usciti proprio con la barca di Rossi, non il taxi bianco, ovviamente, ma una piccola cacciapesc­a: «Preferivan­o quella al barchino di mio marito, perché la loro passione era la caccia al branzino, e con uno scafo più piccolo e manovrabil­e potevano spostarsi meglio tra le secche», spiega ancora la signora Vianello. La famiglia di Rossi la moglie Manuela e la figlia, una giovane fresca di laurea ieri erano trincerate nel loro appartamen­to, proprio di fronte a quello dei Gavagnin: le due abitazioni, in due diverse palazzine protette dallo stesso cancello condominia­le, si guardano ad un piano di distanza, e non era raro che i due pescatori si mettessero d’accordo con un gesto o una parola da una finestra all’altra.

Natalino e Renzo erano grandi amici, legati da quell’amore senza confini per le acque della laguna, per la pesca, per l’aria salmastra delle barene. E assieme riceverann­o anche l’ultimo saluto della comunità di Castello, il sestiere di Venezia dove hanno vissuto per tutta la vita: i funerali, la cui data è ancora da definire («prima dobbiamo superare un muro di pratiche», sospirava la vedova di Gavagnin), saranno organizzat­i nella chiesa di San Pietro; un’unica funzione per entrambi, che intraprend­eranno l’ultimo viaggio come l’ennesima battuta di pesca, uno a guardare le spalle dell’altro.

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