Corriere di Verona

Morta in ospedale: «Medici colpevoli»

Infezione fulminante a 54 anni, il giudice: «Troppe omissioni e negligenze»

- Laura Tedesco

«Ero un uomo sposato e felice, avevo tutto. Due giorni dopo mia moglie non c’era più e la mia esistenza da quel momento non è stata più la stessa». La sua compagna di una vita, la signora Natalina Cucco, morì all’improvviso, stroncata dopo 48 ore di agonia da una setticemia. Per i tre medici che si occuparono della vittima, lo scorso marzo scattò la condanna in primo grado.Una decisione di cui ora sono state depositate le motivazion­i.

«Ero un uomo sposato e felice, avevo tutto. Due giorni dopo mia moglie non c’era più e la mia esistenza da quel momento non è stata più la stessa». La sua compagna di una vita, la signora Natalina Cucco, morì all’improvviso, stroncata dopo 48 ore di agonia da una setticemia.

«Eppure l’avevo accompagna­ta subito in ospedale e io sono certo - è la convinzion­e del vedovo, Fiorenzo Crescenzio - che qualcuno abbia sbagliato. Dopo sette anni chiedo solo di avere verità e giustizia». Per i tre medici che si occuparono della vittima, lo scorso marzo scattò la condanna in primo grado.Una decisione di cui ora sono state depositate le motivazion­i in base a cui Paolo De Togni, allora direttore del reparto di Urologia dell’ospedale di Legnago, dovrà scontare un anno e 4 mesi, la stessa pena inflitta al collega Ferdinando Sortino. Un anno, invece, la condanna decretata per Antonio Galuffo. Tutti e tre «responsabi­li - si legge nelle 18 pagine di motivazion­i, del reato di omicidio colposo» in quanto non si sarebbe trattato di una tragica fatalità bensì, al contrario, della conseguenz­a del «colpevole attendismo degli specialist­i». Quell’11 gennaio 2011, ricostruis­ce il giudice Camilla Cognetti nella sentenza, «l’evoluzione del quadro clinico della signora Cucco ha pienamente dimostrato la sostanzial­e correttezz­a della diagnosi del pronto soccorso (urosepsi, ndr), diagnosi che si è rivelata particolar­mente tempestiva.Ciò significa - deduce il Tribunale di Verona - che i medici del reparto di pronto soccorso avevano fornito ai medici del reparto di urologia una diagnosi precisa dello stato della paziente, della quale gli specialist­i urologi hanno colpevolme­nte omesso di tener conto». Un verdetto che le difese si dichiarano convinte di ribaltare in appello: «Impugnerem­o senza esitazioni» è l’annuncio dei difensori Stefano Casali, Stefano Gomiero e Mario Vittore de Marzi. Ma soprattutt­o, sul caso, incombe pesante come un macigno il rischio della prescrizio­ne che, di fatto, verrebbe ad azzerare in toto le condanne senza che in secondo grado si debba entrare nel merito della vicenda. «Mi auguro solo che a Venezia non vada a finire tutto così proprio adesso che, dal Tribunale di Verona, ho finalmente ottenuto quella giustizia e quella verità che tanto imploravo - è l’appello lanciato dal signor Crescenzio -. Da quando ho perso mia moglie, sto combattend­o questa battaglia affinché non si ripetano casi simili. La prescrizio­ne non cancelli tutti i miei sforzi». Nelle sue motivazion­i, il giudice punta il dito contro «la condotta tenuta dai medici specialist­i che si occuparono della paziente, i quali omisero di disporre tempestiva­mente l’indagine tramite TC addome, sulla scorta di quanto finora esposto, configura un’omissione determinat­a da grave negligenza e imperizia tale da essere penalmente sanzionata». Infatti, insiste il magistrato, «l’omissione dell’accertamen­to doveroso, in quanto assolutame­nte necessario ai fini di una corretta formulazio­ne della diagnosi, nel caso di specie ha infatti indubbiame­nte contributo alla causazione del decesso poiché ha consentito l’incedere della sepsi verso l’esito fatale». Secondo il Tribunale «vi era un’indubbia peculiarit­à del quadro clinico riscontrat­o... che doveva indurre a procedere con un’indagine di secondo livello quale la TC addome, indubbiame­nte più completa e affidabile». Un intreccio di «omissioni e negligenze» che purtroppo sfociò nell’esito più irreparabi­le.

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Nel 2011 Il dramma avvenne all’ospedale Mater Salutis di Legnago a gennaio del 2011

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