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De Michelis, oggi l’addio. L’omaggio di Lupo
È il giorno dell’ultimo saluto a Cesare De Michelis: editore, intellettuale, scrittore, morto venerdì scorso all’età di 74 anni. Un giorno di lutto per la cultura italiana tutta. E per Venezia, la sua città. Che oggi, alle 14, nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo — al posto della prima sede ipotizzata, che era la chiesa valdese vicina a Santa Maria Formosa; tempio cui la famiglia De Michelis era legato e che tuttavia è stato scartato per le esigue dimensioni della sala —, gli renderà l’ultimo saluto. E d’altronde sarà un grande abbraccio, quello che al fondatore di Marsilio tributeranno decine di protagonisti del suo mondo (e non solo): scrittori ed editori, ovviamente; ma anche giornalisti, uomini delle istituzioni e delle università.
Gli omaggi previsti nel corso della cerimonia funebre, in particolare, saranno tre: quello del filosofo Massimo Cacciari, già sindaco di Venezia, che fu compagno di De Michelis nell’iniziale avventura di Marsilio; quello dell’economista e amico Francesco Giavazzi; e, infine, quello del professor Giuseppe Lupo, autore Marsilio «scoperto» da De Michelis, esordiente nel 2000 con il romanzo «L’americano di Celenne» e poi sempre rimasto, con le successive pubblicazioni, presso l’editore veneziano. E proprio con Lupo, ieri, abbiamo parlato. In una sorta di anticipo di quella che sarà la sua orazione.
«Marsilio negli anni Novanta era unica nella ricerca nei talenti», ci ha detto. «Era famosa per avere scoperto e lanciato giovani che poi avevano raccolto un grande successo, metteva insieme il piglio giovanile e l’affidabilità di un editore maturo. Fu con questo spirito che mi avvicinai a Cesare. Volevo pubblicare il mio primo libro, mi diede consigli e suggerimenti. Soprattutto, mi diede fiducia».
Il tratto libero, autonomo e sempre umanamente disponibile, realmente accessibile di De Michelis è ben presente a Lupo, che era legato a De Michelis anche per la partecipazione in giuria al premio «Berto», creazione dell’editore veneziano: «Cesare era un intellettuale che andava contromano, con irriverenza con capacità di sorprendere, senza mai assecondare le consuetudini. Proprio come Giuseppe Berto agiva in modo autonomo e libero: ma la linea genealogica di Cesare non si fermava al Novecento, andava molto più indietro, era antica, risaliva a Nievo e a Gaspare Gozzi, a Goldoni, su, su fino ad Aldo Manuzio. Di cui era l’ultimo discendente. Era, soprattutto, un veneziano: e cioè un uomo che viveva in un oriente non ancora finito e in un occidente non ancora cominciato».
De Michelis accolse il giovane autore Lupo e lo seguì nelle sue pubblicazioni in modo mai invasivo, «mostrandosi capace di ascoltare, di agire con grande rispetto. Tanto per dire, non ha mai messo una riga sui miei fogli. E quando faceva un’osservazione, la sua era sempre una proposta, una possibilità, mai una penna rossa o la bacchetta
Giuseppe Lupo Ha sempre avuto uno sguardo originale sulle cose, oltre i sentito dire. Oltre la banalità. E infatti il suo approccio al libro è stato obliquo, mai scontato
del professore. Eppure avrebbe potuto tranquillamente imporre la sua volontà, comportarsi in modo più aggressivo, come fanno tuttora molti altri editori». De Michelis, prosegue Lupo, «ha sempre avuto uno sguardo originale sulle cose, ne ha parlato oltre i sentito dire, oltre le banalità. Il suo approccio al libro è stato obliquo, mai scontato».
E Lupo ci ha ricordato anche il primo incontro con l’uomo al quale si sarebbe legato per tutta la sua vita di autore. E che oggi saluterà: «La prima volta che sentii parlare Cesare ero a Firenze. Teneva una lezione sulla letteratura, e disse una cosa che mi fulminò, che è rimasta sempre con me: il mestiere di un editore, illustrò, è quello di un uomo che sta su una spiaggia a guardare il mare, e aspetta che arrivino i messaggi in bottiglia. Certo, possono sempre arrivare bottiglie vuote, oggetti inutili. Possono arrivare bottiglie piene di vino. Ma alcune contengono messaggi preziosi».