«Venezia come Padova, soffiate dalle prefetture»
Le relazioni di Borile con i funzionari e con la politica
C’è un’unica cosa che conta per Ecofficina: fare soldi. Almeno questa è la conclusione a cui sono giunti i carabinieri di Padova al termine della maxi-inchiesta coordinata dal procuratore capo Matteo Stuccilli e dalla sostituta Federica Baccaglini, che pochi giorni fa hanno inviato sette avvisi di garanzia ad altrettanti indagati, tra i quali un viceprefetto, una funzionaria ministeriale, e i vertici di Ecofficina (oggi Edeco), la coop che negli ultimi anni ha gestito - e in parte lo sta ancora facendo - i più grandi centri per l’accoglienza dei profughi in Veneto.
Il Nucleo investigativo dei carabinieri ha lavorato nell’ombra per quasi tre anni, scoprendo che la cooperativa vantava una rete di appoggi politici e istituzionali. Accuse, è giusto ricordarlo, ancora da dimostrare: un eventuale processo non si aprirà prima del 2019. Ma le carte dell’inchiesta sono ora a disposizione degli indagati e dei loro difensori. E le 437 pagine che compongono l’informativa finale - l’ossatura dell’intera inchiesta - gettano un’ombra inquietante su ciò che è (o perlomeno è stato) il sistema che ruota intorno agli hub che furono allestiti in tutta fretta a partire dal 2015. «I responsabili di Ecofficina – si legge – hanno condotto l’attività imprenditoriale con il solo fine di conseguire profitti a ogni costo, a discapito di tutto e di tutti».
La prefettura di Padova
Le intercettazioni hanno permesso «di appurare un insolito e intenso traffico telefonico “a tre”, tra Sara Felpati (l’amministratrice di Ecofficina,
ndr), Simone Borile (il patròn della coop, ndr)e l’utenza intestata al Ministero dell’Interno in uso al vice prefetto con funzioni di vicario della prefettura di Padova, Pasquale Aversa». È da lì che iniziano i sospetti. Perché per anni la coop ha gestito l’accoglienza all’interno di basi militari a Padova, Bagnoli, Oderzo, Cona… E l’ha fatto vincendo i bandi indetti proprio dalle prefetture. E infatti l’indagine «ha documentato l’esistenza di un rapporto di complicità tra Borile e Tiziana Quintario (funzionaria della prefettura di Padova, ndr) in virtù del quale si scambiavano informazioni e documenti». Il loro viene definito un «rapporto opaco»: in alcune intercettazioni, dice all’imprenditore «tu sei il capo… agli ordini capo», e per l’accusa avrebbe fatto in modo di ritagliare un bando «su misura» per Ecofficina.
Le ispezioni di Arpav e Usl avrebbero dovuto avvalersi dell’effetto-sorpresa. Invece, sia Aversa che Quintario informavano in anticipo i vertici della coop. A volte i controlli venivano perfino concordati— «Il 12 novembre 2015 – si legge nell’informativa - Quintario chiamava Felpati e le chiedeva esplicitamente dove avrebbe preferito ricevere un’ispezione». Poco dopo l’amministratrice chiama una sua referente e le dice che «sta arrivando l’ispezione, di stare attenti e di mettersi a fare qualcosa con gli emigranti».
Non tutti si piegano al sistema. Il 28 luglio 2016 Felpati chiama il direttore dell’Istituto di prevenzione dell’Usl 13 lamentando «di non essere stata avvisata prima dell’ispezione» come «era prassi comune». Il direttore le ribatte che «è un reato avvisare prima di ogni controllo perché la situazione sanitaria ovviamente cambia, visto che si troverà tutto pulito e in ordine». In generale, chi si opponeva veniva isolato. Quando Quintario e Borile cominciano a lavorare all’apertura dell’hub di Bagnoli, nel settembre 2015, discutendo delle proteste dei cittadini lui la rassicura così: «Il giorno dopo che hai aperto la struttura, il sindaco di Bagnoli rimarrà solo e abbandonato a se stesso in quanto tutti gli altri tireranno un sospiro di sollievo perché non avranno più l’incubo della distribuzione in tutti i comuni, quindi…». Così lo spauracchio dei profughi veniva usato per dividere il fronte del «no».
Sarebbe stata la funzionaria a spingere il viceprefetto ad appoggiare Ecofficina. «Ho convinto il mio orco… ormai lo abbiamo portato a casa dai, abbiamo in mano noi due la faccenda», diceva a Borile. E l’«orco», per i carabinieri era «sicuramente Pasquale Aversa». Quintario ottiene da Ecofficina l’assunzione della figlia e dei famigliari di alcuni amici, ma in cambio diventa «una pedina fondamentale per acquisire informazioni sulle principali decisioni adottate dalla prefettura di Padova». Fino al 5 maggio 2016, quando si scopre che è sotto inchiesta e viene trasferita a Bologna. «Da quel momento i contatti con Ecofficina venivano mantenuti direttamente da Aversa», scrivono i carabinieri. Il 6 settembre 2016, ad esempio, il vicario chiama Borile per dirgli che la prefettura ha preso un’ex caserma ad Abano Terme. «Eventualmente, lei è pronto a partire?». Il patròn della coop risponde che gli servono le mappe e lui: «Certo, per fare le misurazioni… le faccio sapere… naturalmente è una notizia riservata perché neanche il commissario lo sa».
La prefettura di Venezia
Nell’informativa si legge che «le problematiche riscontrate nella gestione da parte di Ecofficina della struttura di Bagnoli si ripresentavano anche a Cona, di competenza della prefettura di Venezia: i servizi igienici non erano mai proporzionati ai profughi ed emergevano carenze nelle pulizie (…) il personale non era efficiente né commisurato al numero di richiedenti».
Sebbene nessuno dei funzionari veneziani risulti indagato dai pm di Padova (le valutazioni, in caso, spetteranno alla procura lagunare che ha già un fascicolo aperto) i carabinieri rilevano come intorno al 2016 «il numero dei migranti presenti nella struttura aumentava velocemente, mentre le autorità prefettizie di Venezia sottovalutavano la situazione di sovraffollamento e le eventuali criticità». Infine, il sospetto più grave: anche nel capoluogo «le autorità prefettizie avvisavano anticipatamente la cooperativa delle ispezioni da parte del personale dell’Usl o del Comune di Cona». Almeno tre i controlli svelati a Ecofficina tra l’estate 2015 e il gennaio 2017. Un esempio: il 27 agosto di tre anni fa, in una telefonata a Felpati l’allora «prefetto riferisce che più tardi arriverà il viceprefetto perché stanno avviando una serie di verifiche su tutti i centri di accoglienza» mentre il vicario spiega a Borile «che l’Usl andrà a fare la verifica lunedì 31 agosto (…) e gli comunica che saranno cinque gli operatori che effettueranno il controllo».
Il 15 marzo 2016 si arriva però a uno scontro. Parlando con una segretaria della prefettura, Borile pretende che trovino il modo di rinviare un sopralluogo dell’Usl ma si sente rispondere che se gli ispettori trovassero a Cona delle «condizioni inaccettabili» deferirebbero il gestore. A quel punto Borile sbotta, e dice che lui «non va in galera per il prefetto di Venezia». Con il passare dei mesi, le continue rivolte scoppiate nell’hub sembrano spingere anche la prefettura a prendere le distanze. A gennaio 2017 il vicario Vito Cusumano convoca Borile «per discutere dell’innegabile sovraffollamento e affrontare altri aspetti critici della gestione complessiva».
La prefettura di Treviso
Problemi gestionali emergono anche nella Marca, dove nel 2016 Ecofficina ottiene la gestione della caserma «Zanusso» di Oderzo. Eppure qui, le cose vanno diversamente: «La prefettura di Treviso - scrivono i carabinieri - seppure anch’essa in difficoltà per il continuo arrivo di richiedenti asilo, era più attenta alle condizioni di vita dei migranti e all’eventuale sovraffollamento della struttura, impartendo specifiche disposizioni sul lavoro che la cooperativa doveva effettuare. Allo stesso tempo non adottava iniziative finalizzate a tutelare oltre ogni modo Ecofficina, come preavvisare le ispezioni o tollerare inadempienze».
I politici
Nell’informativa compaiono i nomi di diversi politici, nessuno dei quali risulta indagato. Come Leonardo Padrin, ex consigliere regionale di Forza Italia. «Le conversazioni captate consentivano di accertare che Padrin raggiungeva un accordo imprenditoriale per partecipare con la ditta Food Service Italia Srl, che già forniva i pasti alle strutture gestite da Edeco (l’ex Ecofficina, ndr), alle successive gare per l’accoglienza dei centri di Bagnoli e Cona». In pratica, anche qualche politico cercava di fare affari con la cooperativa Nulla di illegale, sia chiaro. Come nel caso di chi si sentiva in dovere di parlare della coop con le autorità. L’ex sottosegretario all’Ambiente, Barbara Degani: «L’indagine ha consentito di documentare (…) l’interessamento del politico alle vicende della Edeco». La Degani incontrava in almeno due occasioni l’allora prefetto di Padova Patrizia Impresa: la prima subito dopo le perquisizioni scattate nel maggio 2017, la seconda «risultava dai contenuti della conversazione nel corso della quale il prefetto riferiva al vicario Aversa che il politico le aveva chiesto informazioni su Edeco».
L’ex consigliere regionale Padrin in affari con Borile, l’ex sottosegretario Degani chiedeva informazioni sulla coop: nessuno dei due è indagato