«Il caporalato? C’è anche nei laboratori del tessile»
Va bene promuovere iniziative contro il caporalato in agricoltura, come hanno fatto anche i sindacati del Veneto, ma occorre allo stesso tempo tener presente che fenomeni del tutto identici sono molto diffusi anche nell’impresa manifatturiera e nei servizi, senza esclusione per la nostra regione.
A dirlo con grande chiarezza è Giuliano Secco, presidente della Federazione Moda di Confartigianato Veneto. Per averne la conferma, aggiunge Secco, basta chiedere informazioni «a uno qualsiasi dei 5 mila imprenditori artigiani terzisti della moda veneta. Ognuno ha testimonianza di veri e propri fenomeni di caporalato industriale che coinvolgono sia lavoratori del territorio, sia numerosi immigrati, quasi sempre di etnia cinese, anche qui a Nordest».
Secco sottolinea anche come la circostanza sia stata più volte segnalata alla magistratura dalla sua associazione ma che gli effetti di queste segnalazioni si sono limitati a qualche sporadico intervento della Guardia di Finanza, con la chiusura temporanea dei laboratori ispezionati. Quanto accade, insomma, «sembra non interessare a nessuno. Eppure negli ultimi vent’anni il fior fiore delle imprese industriali del nostro Paese ha spostato oltreconfine, nell’Est Europa e nel mondo, un intero settore come quello della moda, sulla pelle di noi artigiani. Solo in Veneto le imprese sono scese da 15 a 6 mila e i posti di lavoro persi hanno raggiunto quota 50 mila». Per chi sia riuscito a sopravvivere garantendo qualità, tempestività, prezzi competitivi ed efficienza, ecco la sfida con chi, prosegue il leader della Moda di Confartigianato, «vorrebbe vedere realizzate le sue creazioni qui da noi, ma allo stesso costo del Bangladesh. Ci troviamo messi in concorrenza con i laboratori clandestini o con quelli cinesi che, nei nostri stessi territori, producono ignorando qualsiasi regola di tutela del lavoro».
Da qui la sollecitazione di Confartigianato Veneto alla Cisl, il sindacato che ha lanciato la campagna «#SosCaporalato» contro lo sfruttamento nell’agroalimentare: si estenda il progetto anche al manifatturiero e non solo, dato che pure settori come l’autotrasporto non sono immuni da forme di sfruttamento di conduttori stranieri. «Condividiamo infine – conclude Secco - l’idea di mettere in etichetta il costo della produzione lanciata per i prodotti agricoli e di trasferire nel campo della moda strumenti per la tracciabilità di tutta la filiera produttiva con il progetto di etichetta parlante, la quale può garantire la provenienza e l’autenticità del prodotto».
Secco (artigiani) Tutti i terzisti della moda veneta lo sanno