Profughi nelle parrocchie Una su quindici li ospita
Mons. Ceschi: «Non arriveranno, ma se succederà ancora noi ci saremo»
È stata tra le prime diocesi a raccogliere, nel 2015, l’appello del Papa. A tre anni dall’inizio dell’accoglienza diffusa, la Chiesa Veronese stacca il resto del Veneto: sono 115 gli ospiti. Le parrocchie impegnate sono 23, in pratica una su 15 accoglie.
Ceschi Meglio lavorare sui numeri piccoli, così si evitano i conflitti
Righetti
Molte persone trovano un impiego già dopo due mesi
È stata tra le prime diocesi a raccogliere, nel 2015, l’appello del Papa. A tre anni dall’inizio dell’accoglienza diffusa, la Chiesa Veronese stacca il resto del Veneto per realtà coinvolte e numero di richiedenti asilo. Ora sono 115, in passato qualche decina in più; il grosso, in carico al Samaritano, il centro della Zai nato come rifugio per senzatetto ora completamente rinnovato, circa cinquanta persone, il resto, una sessantina, divisa in 23 parrocchie su 379: significa che circa una parrocchia su 15 ha aderito.
Un numero rilevante, soprattutto se lo si confronta con le altre realtà confinanti, ad esempio Padova, che conta allo stato attuale nove parrocchie interessate. Certo, il periodo dell’«emergenza» è ormai lontano, i numeri stanno calando rispetto al passato. Ma la macchina organizzativa è ben avviata e ormai funziona in completa autonomia. Tanto che negli ultimi mesi altre canoniche hanno ospitato persone in attesa del responso delle commissioni territoriali.
Due esempi: Lugo (Grezzana) e Chievo. E da maggio, Villa Francescatti, a lungo ostello della gioventù, passata (tra molte polemiche) per volere della diocesi, proprietaria dell’immobile, alla Caritas (a cui è delegato, come altrove, questo compito), funziona come centro di smistamento. Lì i migranti arrivano, sono sottoposti a dei controlli sanitari, aspettano qualche giorno in attesa della nuova destinazione, seguendo un percorso di alfabetizzazione. Una modalità ancora inedita, almeno nel resto della Regione. Insomma, in caso ci sia la necessità, la diocesi è pronta. Proprio ieri, monsignor Giuliano Ceschi, presidente della Caritas, ha escluso che potessero arrivare alcuni degli eritrei sbarcati dalla nave Diciotti. «Non ci è stato chiesto e so per certo che alcune diocesi, ad esempio quella di Torino, sono state chiamate in causa. Ma restiamo disponibili. E siamo pronti a continuare quanto portato avanti negli ultimi anni».
Perché, secondo il prelato, il modello dell’accoglienza diffusa parrocchiale funziona. Non solo, «è l’unico che può funzionare». «La soluzione è quella di lavorare su numeri piccoli. In questo modo si evitano conflitti e si dà una mano concreta anche con l’inserimento lavorativo – afferma monsignor Ceschi -. Quando un piccolo centro si vede arrivare centinaia di richiedenti asilo, come è accaduto in questi giorni a Rocca di Papa, è comprensibile che si crei scompiglio. Al contrario, con due, tre persone per parrocchia si crea un circolo virtuoso, che sa coinvolgere tutta la comunità».
Ci sono perfino le parrocchie «specializzate». Due dell’area della Lessinia, ad esempio, Mezzane di Sopra e Cerro, hanno aderito a un programma gestito dalla Cei, un corridoio umanitario proprio con il Corno d’Africa: i rifugiati arrivano direttamente da Eritrea ed Etiopia.Una lunga lista di iniziative che favoriscono l’integrazione che passano per lo sport e il volontariato, con i richiedenti asilo che, nel periodo estivo, danno anche una mano alle sagre. A seconda dei comuni, cambia anche il modello di accoglienza. Ci sono le parrocchie inquadrate negli Sprar, laddove sono previsti (qualche esempio: Fumane, Sommacampagna, Valeggio sul Mincio, San Pietro in Cariano, Sona, Castelnuovo) per il resto si tratta di Cas, centri di accoglienza straordinari. «Quella dell’accoglienza – spiega Michele Righetti, responsabile del Samaritano – è una realtà che si capisce solo attraverso l’esperienza diretta, la relazione. È un’attività che non può prescindere da un aspetto culturale ed evangelico. Abbiamo buoni risultati anche sul fronte lavorativo: molte persone trovano qualche impiego già a due mesi dall’arrivo, mentre sono ancora in attesa dell’esito della domanda d’asilo».