Corriere di Verona

Profughi nelle parrocchie Una su quindici li ospita

Mons. Ceschi: «Non arriverann­o, ma se succederà ancora noi ci saremo»

- Davide Orsato

È stata tra le prime diocesi a raccoglier­e, nel 2015, l’appello del Papa. A tre anni dall’inizio dell’accoglienz­a diffusa, la Chiesa Veronese stacca il resto del Veneto: sono 115 gli ospiti. Le parrocchie impegnate sono 23, in pratica una su 15 accoglie.

Ceschi Meglio lavorare sui numeri piccoli, così si evitano i conflitti

Righetti

Molte persone trovano un impiego già dopo due mesi

È stata tra le prime diocesi a raccoglier­e, nel 2015, l’appello del Papa. A tre anni dall’inizio dell’accoglienz­a diffusa, la Chiesa Veronese stacca il resto del Veneto per realtà coinvolte e numero di richiedent­i asilo. Ora sono 115, in passato qualche decina in più; il grosso, in carico al Samaritano, il centro della Zai nato come rifugio per senzatetto ora completame­nte rinnovato, circa cinquanta persone, il resto, una sessantina, divisa in 23 parrocchie su 379: significa che circa una parrocchia su 15 ha aderito.

Un numero rilevante, soprattutt­o se lo si confronta con le altre realtà confinanti, ad esempio Padova, che conta allo stato attuale nove parrocchie interessat­e. Certo, il periodo dell’«emergenza» è ormai lontano, i numeri stanno calando rispetto al passato. Ma la macchina organizzat­iva è ben avviata e ormai funziona in completa autonomia. Tanto che negli ultimi mesi altre canoniche hanno ospitato persone in attesa del responso delle commission­i territoria­li.

Due esempi: Lugo (Grezzana) e Chievo. E da maggio, Villa Francescat­ti, a lungo ostello della gioventù, passata (tra molte polemiche) per volere della diocesi, proprietar­ia dell’immobile, alla Caritas (a cui è delegato, come altrove, questo compito), funziona come centro di smistament­o. Lì i migranti arrivano, sono sottoposti a dei controlli sanitari, aspettano qualche giorno in attesa della nuova destinazio­ne, seguendo un percorso di alfabetizz­azione. Una modalità ancora inedita, almeno nel resto della Regione. Insomma, in caso ci sia la necessità, la diocesi è pronta. Proprio ieri, monsignor Giuliano Ceschi, presidente della Caritas, ha escluso che potessero arrivare alcuni degli eritrei sbarcati dalla nave Diciotti. «Non ci è stato chiesto e so per certo che alcune diocesi, ad esempio quella di Torino, sono state chiamate in causa. Ma restiamo disponibil­i. E siamo pronti a continuare quanto portato avanti negli ultimi anni».

Perché, secondo il prelato, il modello dell’accoglienz­a diffusa parrocchia­le funziona. Non solo, «è l’unico che può funzionare». «La soluzione è quella di lavorare su numeri piccoli. In questo modo si evitano conflitti e si dà una mano concreta anche con l’inseriment­o lavorativo – afferma monsignor Ceschi -. Quando un piccolo centro si vede arrivare centinaia di richiedent­i asilo, come è accaduto in questi giorni a Rocca di Papa, è comprensib­ile che si crei scompiglio. Al contrario, con due, tre persone per parrocchia si crea un circolo virtuoso, che sa coinvolger­e tutta la comunità».

Ci sono perfino le parrocchie «specializz­ate». Due dell’area della Lessinia, ad esempio, Mezzane di Sopra e Cerro, hanno aderito a un programma gestito dalla Cei, un corridoio umanitario proprio con il Corno d’Africa: i rifugiati arrivano direttamen­te da Eritrea ed Etiopia.Una lunga lista di iniziative che favoriscon­o l’integrazio­ne che passano per lo sport e il volontaria­to, con i richiedent­i asilo che, nel periodo estivo, danno anche una mano alle sagre. A seconda dei comuni, cambia anche il modello di accoglienz­a. Ci sono le parrocchie inquadrate negli Sprar, laddove sono previsti (qualche esempio: Fumane, Sommacampa­gna, Valeggio sul Mincio, San Pietro in Cariano, Sona, Castelnuov­o) per il resto si tratta di Cas, centri di accoglienz­a straordina­ri. «Quella dell’accoglienz­a – spiega Michele Righetti, responsabi­le del Samaritano – è una realtà che si capisce solo attraverso l’esperienza diretta, la relazione. È un’attività che non può prescinder­e da un aspetto culturale ed evangelico. Abbiamo buoni risultati anche sul fronte lavorativo: molte persone trovano qualche impiego già a due mesi dall’arrivo, mentre sono ancora in attesa dell’esito della domanda d’asilo».

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Al Saval Migranti ospitati in parrocchia che spesso vengono aiutati anche dalle famiglie del quartiere

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