Corriere di Verona

IL RAMO EUROPEO DA TENERE

- di Paolo Costa

Quante volte il governo LegaM5S potrà minacciare la sospension­e del pagamento dei contributi italiani all’Unione Europea o anche solo di porre il veto sul bilancio dell’Unione? Quante volte verrà creduta? O al terzo «al lupo, al lupo» incontrerà solo indifferen­za? Ieri lo ha fatto perché insoddisfa­tto della risposta dei partner europei alla richiesta di redistribu­zione dei rifugiati della nave Diciotti, ma è facile prevedere che si presentera­nno presto altre occasioni di «insoddisfa­zione» per il mancato accoglimen­to europeo dei desiderata italiani. L’occasione clou sarà la verifica di compatibil­ità della politica fiscale italiana con gli impegni europei di stabilità e crescita che si avvicina ed è facile immaginare definirà la cifra del confronto: tattico, rischiando peraltro l’isolamento, o strategico, per puntare ad una inutile Unione di egoismi statali inconcilia­bili? Il pericolo è che non ci si renda conto che acuire il clima di scontro tra il nostro Paese e l’Unione equivale a segare il ramo dell’albero europeo sul quale siamo seduti. Un albero cresciuto con difficoltà dal 2005 ad oggi, da quando il perseguime­nto esplicito del comune interesse europeo ha ceduto il passo a compromess­i tra sovranismi, consapevol­i o meno. Un ramo, quello italiano, scomodo, pieno di nodi, meno vitale di quelli sui quali sono seduti altri stati membri.

Ma ramo di un albero comune europeo che nella foresta globale ha, come gli alberi di Usa, Cina, India, Russia e pochi altri, la taglia necessaria per resistere ai venti della rivoluzion­e tecnologic­a, dei cambiament­i climatici e della transizion­e demografic­a che soffiano negli «spazi di azione cosmopoliz­zati» creati dalla connettivi­tà globale. Un albero europeo che garantisce alle esportazio­ni italiane un mercato intraeurop­eo di oltre 225 miliardi di euro e lo protegge su un mercato extra Ue di quasi 170 miliardi: tutti mercati che vedono il Nordest protagonis­ta nella creazione dell’avanzo commercial­e sul quale contare per uscire dalla crisi. Un albero europeo, per venire al nocciolo della questione, che con l’imporci il rispetto dei vincoli di stabilità e crescita, o la misura e i modi del loro allentamen­to, ci dirà impietosam­ente «quanto sia nudo il re» degli obiettivi-bandiera (reddito di cittadinan­za, flat tax. riforma della legge Fornero, etc) troppo facilmente venduti agli elettori. Ma un albero che aiutandoci a quadrare il cerchio può convincere i mercati a far convivere i nostri obiettivi di crescita con la gestione dell’enorme debito pubblico che ci attanaglia. Russia, Usa, Cina possono promettere di sostituirs­i per qualche tempo ad alcuni dei nostri creditori attuali --a prezzi politici tutti da misurare—ma è solo l’Unione europea che può aiutarci a far fruttare a fini di crescita e, alla lunga, di riduzione del debito la risorsa costituita dall’avanzo della nostra bilancia commercial­e. Ma non saranno i ricatti ad indurla a farlo. Anzi. C’è un comune interesse europeo in questo. Un interesse europeo –che coincide con quello italiano—che un governo capace di pensare «in europeo» potrebbe/dovrebbe far emergere. Esistono, per esempio, reti transeurop­ee di trasporto (ma anche energetich­e e digitali) da realizzare in Italia nel miglior interesse comunitari­o. Valgono senz’altro più dei 50 miliardi di euro di investimen­ti ai quali i ministri Tria e Savona stanno pensando. Perché dunque anziché ricattarla non si pretendono dall’Ue impegni a maggiori cofinanzia­menti o a sforamenti mirati dei vincoli europei di reddito e di debito? Ma questo comporta l’intelligen­za di usare al meglio, nel comune interesse, il livello di governo europeo, non il masochisti­co desiderio di renderlo inefficace.

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