Corriere di Verona

«Mi dicevano lamentati pure e se muori ti buttiamo nel lago»

La vittima è sotto choc e debilitata. Fermato il complice dell’aguzzino

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«Piangi, anto qui non ti sente nessuno». Hanno detto così gli aguzzini alla donna polacca chiusa per due settimane in una cassa per la raccolta delle mele. In cella sono finiti l’imprendito­re altoatesin­o Reinhold Thurner e un suo collaborat­ore.

«Piangi, lamentati pure. Tanto qui non ti sente nessuno e, se muori, ti buttiamo nel lago». Chiusa per due settimane in una cassa di plastica verde di poco più di un metro per lato e alta non più di 80 centimetri. Abbandonat­a su un rimorchio in fondo ai filari di mele che costeggian­o l’ A4, a Sommacampa­gna. Addosso solamente un abito nero, una mela ogni tanto e una bottigliet­ta d’acqua che i suoi aguzzini facevano passare attraverso la sottile fessura tra il suo cassone e quello che i due avevano fissato sopra con tanto di cinghie e teloni per imprigiona­rla e renderla invisibile. Non fosse stato per il provvidenz­iale intervento di quei giardinier­i dell’autostrada Brescia-Padova forse questa vicenda dai contorni surreali, avrebbe potuto trasformar­si nell’ennesima tragedia della «violenza di genere».

Perché gli inquirenti si sono trovati di fronte a un uomo che ritiene ammissibil­e «punire» una donna in questo modo. Arrestato martedì mattina con le accuse di sequestro di persona e tortura su disposizio­ne del pm Maria Beatrice Zanotti, l’imprendito­re altoatesin­o Reinhold Thurner, 53 anni, ieri mattina assistito dall’avvocato Mirko Zambaldo è comparso di fronte al gip Livia Magri per la convalida ed è rimasto in silenzio. Oggi il giudice scioglierà la riserva. Ad inchiodare lui e il suo complice (P.N., un dipendente polacco di 32 anni, attualment­e in carcere in stato di fermo), sono state le parole di «Margherita», la bracciante polacca di 44 anni liberata martedì mattina dagli agenti della sottosezio­ne di Verona Sud, allertati dagli operai dell’A4. Quando lei ha sentito che il tagliaerba si era fermato, ha iniziato a urlare: l’attrezzo si era inceppato e questo, probabilme­nte, le ha salvato la vita. I giardinier­i hanno chiamato la Polstrada e i primi ad arrivare sul posto sono stati il sovrintend­ente Andrea Veronese e l’agente Michela Letizia Lanzino: «Mai vista una cosa simile». Il fondo della cassa coperto di escrementi, qualche bottigliet­ta d’acqua vuota e lo sguardo terrorizza­to di quella poveretta. «Continuava a ringraziar­e, cercando di respirare a pieni polmoni, come se le mancasse l’aria» hanno ricordato ieri i due agenti.Sul posto, pochi istanti più tardi, anche i carabinier­i di Villafranc­a che già da qualche giorno stavano indagando sulla scomparsa della donna. Perché sabato sera erano arrivati in caserma i figli di Margherita, direttamen­te dalla Polonia, e avevano spiegato di non riuscire più a contattarl­a dalla sera della vigilia di Ferragosto. Proprio il 14, militari e 118 erano intervenut­i in un casolare di Sommacampa­gna su richiesta della donna: lei aveva raccontato di essere stata aggredita da Thurner, l’uomo con il quale intrattene­va una relazione fatta di alti e bassi da circa 10 anni. Ma aveva rifiutato di denunciarl­o e di recarsi in ospedale. Poi, il silenzio. Stando a quanto ha poi raccontato ai carabinier­i che l’hanno ascoltata all’ospedale Magalini (è stata dimessa con una prognosi di 14 giorni che ha certificat­o i traumi psichici e lo stato di debilitazi­one in cui versava), Thurner e il suo complice l’avrebbero imbavaglia­ta con il nastro adesivo legandole mani e piedi prima di infilarla in quel cassone diventato la sua prigione per due settimane. Il motivo? La donna ha spiegato di essersi lamentata con l’amante-titolare (nel suo passato una denuncia per violenza sessuale su minore, poi archiviata) per le condizioni in cui faceva lavorare la sorella maggiore, arrivata dalla Polonia a inizio estate. Detenuta in quelle condizioni, ha pensato seriamente di morire. «Di notte crepavo di freddo» avrebbe detto ai carabinier­i prima di spiegare che era il connaziona­le a portarle - raramente - acqua e cibo e che i due le prometteva­no di buttarla nel lago, senza darle le medicine per la pressione che avrebbe dovuto prendere più volte al giorno. Sentiti domenica dai carabinier­i, Thurner e il complice, hanno detto che si era allontanat­a a Ferragosto. Poi, il miracolo di martedì mattina. Thurner è stato bloccato sul trattore. Il complice, invece, è stato rintraccia­to nel pomeriggio dai carabinier­i. «Probabilme­nte, non vedendo il titolare, era pronto a dileguarsi nei campi per provare a scappare all’estero» ha detto il capitano dell’Arma Ottavia Mossenta. Oggi, anche lui comparirà di fronte al gip per la convalida del fermo difeso da Giulia Tebaldi. Lei, invece, ora è al sicuro in una struttura protetta. Enrico Presazzi

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La liberazion­eIl momento in cui la polizia stradale libera la donna polacca segregata nel cassone delle mele

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