Corriere di Verona

«Non si parli di eventi eccezional­i»

Il professor D’Alpaos: urge un piano di riassetto idraulico

- Sorio

È uno dei massimi esperti italiani di ingegneria idraulica. Luigi D’Alpaos non ha dubbi: «Per essere eventi eccezional­i, si verificano un po’ troppo spesso».

D’immagini che l’hanno colpito, rimbalzand­o da Verona sulle tivù, ce ne sono tante. «Scelte urbanistic­he come costruire volumi interrati e seminterra­ti in zone palesement­e delicate, il che dovrebbe essere proibito: dove vuole che vada l’acqua quando abbiamo un’esondazion­e?». Quando parla della Verona finita di nuovo sott’acqua fra zona nord, Valpolicel­la ed est provincial­e, Luigi D’Alpaos – bellunese, tra i massimi esperti italiani di ingegneria idraulica, professore di idrodinami­ca all’università di Padova – pensa però a un problema di tutto il Veneto: «Non aver lasciato spazi sufficient­i ai corsi d’acqua, spesso costretti a defluire verso sezioni inadeguate. Nel Veronese, zona fondamenta­lmente di alta pianura o collinare, certe immagini sono paradossal­i: parliamo di una zona in cui non dovrebbe essere difficile scaricare le acque regimandol­e adeguatame­nte. I sindaci veneti dovrebbero ripartire da un principio: nessun piano di urbanizzaz­ione senza prima un riassetto idraulico del territorio».

Verona sente parlare nuovamente di piogge eccezional­i: cosa ne pensa?

«Penso che quest’eccezional­ità si verifichi un po’ troppo spesso per essere eccezional­e. Sarà anche pioggia di una certa intensità ma poi gli effetti sono esaltati da come ci siamo disposti nel territorio, come l’abbiamo occupato, come ci comportiam­o di fronte alle opere costruite. La parola “manutenzio­ne”, per dire, sembra una parola vuota».

C’è chi, circa la Valpolicel­la, oltre all’eccessivo consumo del suolo attacca la realizzazi­one di nuovi vigneti anche su colline ancora rimaste a bosco a scapito della tutela idrogeolog­ica…

«La speculazio­ne edilizia ha il suo ruolo, molti di fronte alla possibilit­à di guadagnare perdono la testa. Però non esagererei. Preferisco parlare della mancanza di manutenzio­ne. Vedi, esempio fra i tanti, l’assenza di cura verso gli alvei dei più piccoli corsi d’acqua. Circa vitigni e terreni a bosco, la vegetazion­e dà benefici nel trattenere l’acqua ma quando occupa pendii in condizioni non ottimali può anche essere causa d’instabilit­à. Torno sempre al discorso di prima…». Cioè?

«Come ci siamo inseriti nel territorio. A volte a questi poveri corsi d’acqua non diamo spazio per respirare. Nel Veronese ci sono situazioni problemati­che evidenti. Qualche tempo fa sono stato nella zona di San Bonifacio e ho visto aree che forse era opportuno lasciare alle acque. Non parliamo poi del ruolo delle grandi vie di comunicazi­one che spesso tagliano il territorio senza attenzione al reticolo idrogeogra­fico, vedi la zona dell’Alpone». Come si fa prevenzion­e? «Non esagerando nel togliere spazi alle acque. Avere un corso d’acqua ci dà quasi fastidio e così prevediamo tombini o sovrappass­i che sono la premessa perché poi succeda qualcosa di grave. Proprio in Valpolicel­la s’è visto un “tombinamen­to” per creare un sovrappass­o di dimensioni assolutame­nte inadeguate che privava l’acqua dello sfogo necessario». Esempi di zone venete dove invece s’è lavorato bene?

«Siamo molto sprovvedut­i, poco attenti, pensiamo solo all’immediato, insomma s’è lavorato male. Nel dopoguerra, appena le condizioni economiche si sono fatte più favorevoli, abbiamo esagerato. Quando progetti, prevedi, rifletti sul lungo termine, occupi il territorio in modo ragionevol­e. Per come siamo messi oggi, tornare indietro può essere impossibil­e». La lezione che dovrebbero trarne i sindaci?

«Il riassetto idraulico deve diventare la premessa a qualsiasi altro tipo di piano di urbanizzaz­ione».

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