AUTONOMIE L’OSTACOLO SOVRANISTA
Luigi Einaudi disse nel 1948, e Luca Zaia non si stanca di ripeterlo, che la Costituzione potrà dirsi davvero compiuta solo quando «ciascuno avrà l’autonomia che gli spetta». Se così è, a settant’anni dalla sua entrata in vigore la Carta non può dirsi del tutto attuata e in questa legislatura vedremo probabilmente passare l’ultimo treno utile per portarla a compimento. Ma che autonomia è possibile al tempo del sovranismo? Ed è possibile un’autonomia uguale per tutti?
Matteo Salvini, vero motore trainante di questo governo, l’ha già detto: «Quando arriva la proposta del Veneto in consiglio dei ministri firmiamo subito». E lo stesso, par di capire, vale per la Lombardia, che pure è regione «amica», e per l’Emilia Romagna, anche se «a differenza delle altre era partita più che altro per un gioco politico». Quando accadrà?
Lo stesso Salvini promise a fine luglio che si sarebbe fatto tutto «entro l’estate». Poi, ad agosto inoltrato, ha aggiustato il tiro: «L’ho detto ai governatori: non occorre che veniate tutti insieme, l’importante è che sia fatto tutto a regola d’arte».
Niente fretta: «L’autonomia è nel contratto di governo». Il che però dà come orizzonte l’intera legislatura, di qui al 2023.
Il Veneto, si sa, vuol recitare il ruolo della lepre e si sa che Zaia ha sempre rivendicato la primogenitura della battaglia, consacrata dal referendum del 22 ottobre, relegando tutti gli altri al rango di «accodati illustri».
Chiede 23 materie e i 9/10 delle tasse il che è complesso sul piano pratico (non a caso si discute sull’opportunità di virare verso una legge delega snella, rinviando i contenuti a decreti legislativi successivi) ma soprattutto politico perché quando si dà a qualcuno, giocoforza si toglie a qualcun altro – o almeno così è se si vogliono rispettare i vincoli di bilancio – e questo anche se si procede a colpi di costi standard. E dunque può la Lega tornare al regionalismo spinto delle origini, venendo meno al nuovo ordine del suo Capitano per cui «o l’Italia si salva tutta o non ce n’è per nessuno»?
Non solo il sovranismo, anche l’antieuropeismo rema contro l’autonomia, perché il federalismo immaginato dal primissimo Carroccio, quello che aveva nei Quaderni della Fondazione Agnelli i suoi fondamenti teorici, immaginava (macro)Regioni forti all’interno di un’Europa fortissima, federale. Qui non si vuole l’Europa e forse non si vogliono manco più le Regioni, perché ciò che conta sono i confini dalle Alpi e Lampedusa. E poi c’è il Movimento Cinque Stelle, l’altro azionista di maggioranza di questo governo: il partito del Sud, come l’hanno ribattezzato molti analisti, che non a caso ha re-istituito e subito occupato il ministero del Sud e che al Sud combatte le sue battaglie più importanti, dal reddito di cittadinanza all’Ilva. Luigi Di Maio darà retta a Salvini o ai 2.700 intellettuali, giornalisti ed economisti guidati da Gianfranco Viesti dell’università di Bari che hanno firmato l’appello contro la «secessione dei ricchi»?
Non bastasse aggiungiamo altri due aspetti, non meno importanti: le arcinote resistenze delle burocrazie al cambiamento, nella consapevolezza che autonomia significa meno potere per questo o quel dipartimento ministeriale; e la spinta alla neo centralizzazione arrivata dalla crisi, oltre che dalle mutande verdi e dai Batman di alcuni consigli regionali, così che più di qualcuno, a Roma, s’è convinto che forse è meglio pensare a tutto lì se si vogliono tenere le briglie ai conti.
Il ministro degli Affari regionali Erika Stefani, che è leghista, è veneta, ed è stata tra i promotori del referendum del 22 ottobre 2017, promette che per l’anniversario del voto, tra poco più di un mese, il Veneto chiuderà la sua intesa con lo Stato. Quindi toccherà alla Lombardia («Il lavoro è a buon punto sui tavoli tecnici» ha assicurato il governatore Attilio Fontana) e all’Emilia Romagna («Ci sono le condizioni per accelerare - ha detto il governatore Stefano Bonaccini – l’auspicio è che si possa chiudere entro l’anno») che però avanzano con maggior cautela, chiedendo intanto 15 materie e poi si vedrà, con qualche dubbio, nel caso dell’Emilia Romagna, pure sullo strumento legislativo da utilizzare. Va detto, d’altronde, che qui l’autonomia scalda i cuori meno che in Veneto: più che per ragioni storico-identitarie d’impronta libertaria e ispirazione Serenissima, l’Emilia Romagna sembra essersi fatta avanti per non arretrare rispetto alle Regioni vicine sul terreno dello sviluppo industriale ed economico che può derivare dalla gestione in presa diretta di alcune competenze specifiche. Una mossa, quella di Bonaccini, giocata anche con l’intento di far rientrare in pista da protagonista il Pd, fino a quel punto autorecluso ai margini della scena, con buona pace di una storia che va dall’indipendentismo di sinistra alla Euskadi Ta Askatasuna e arriva alla riforma del Titolo V. E ora, trovata un’insperata via d’uscita, sono proprio i dem ad incalzare la Lega, accusata di improvvisa, eccessiva timidezza.
In questa complessa trattativa, di cui è difficile immaginare il punto di caduta, si sono adesso insinuate pure le Province di Trento e Bolzano, decise a cavalcare l’onda per avere ancora più autonomia, anche se forse a questo punto sarebbe meglio parlare di una semi-indipendenza: il presidente altoatesino Arno Kompatscher, nella veste di presidente della Regione, in occasione dell’anniversario dell’accordo De GasperiGruber di una settimana fa ha annunciato di voler chiedere allo Stato pure le materie ambientali, tra le pochissime che mancano nel carnet delle Province speciali. Stefani gliele concederà? E che farà il governo con i quattro progetti di legge costituzionale già depositati dalla Svp, che nel chiedere «l’autonomia integrale» arrivano a fare delle norme provinciali una fonte sovraordinata a quella statale? Così, almeno in Trentino Alto Adige, si cancella il concetto stesso di «interesse nazionale» che è il fulcro del pensiero neosovranista. Salvini è stato avvisato?
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