Corriere di Verona

Autonomia, piano da 5 miliardi

Tanto vale la spesa storica per le 23 materie della trattativa, il criterio annunciato dal ministro

- Bonet

La bozza d’intesa sull’autonomia che approderà in consiglio dei ministri entro il 22 ottobre, come annunciato dalla titolare degli Affari regionali Erika Stefani, conterrà tutte le 23 materie chieste dal Veneto. Saranno finanziate, lo ha spiegato lo stesso ministro, secondo il criterio della spesa storica, ossia quanto lo Stato ha speso finora qui per gestirle. Secondo i calcoli della Ragioneria del Mef si parla di 5 miliardi sui 14 complessiv­amente spesi qui.

Nel corso del dialogo col governator­e Luca Zaia, lunedì, nell’aula magna dell’università di Padova, il ministro per gli Affari regionali Erika Stefani ha tentato di mettere alcuni punti fermi al burrascoso dibattito sull’autonomia. Il primo: «Nella bozza d’intesa Stato-Regione che intendo portare in consiglio dei ministri entro il 22 ottobre (data simbolo, sarà l’anniversar­io del referendum, ndr.) ci saranno tutte le 23 materie chieste dal Veneto, perché la Costituzio­ne lo permette». Il secondo: «Il trasferime­nto di ciascuna competenza alla Regione avverrà sulla base del suo costo storico e cioè di quanto ha speso finora lo Stato per gestirla in proprio, secondo una sorta di clausola di invarianza di bilancio». E pazienza se il ricorso al principio della spesa storica, quello per cui, per dirla con le parole del professor Mario Bertolissi, «se uno ha mangiato fino ad oggi ostriche continuerà a mangiare ostriche, mentre se uno ha mangiato tonno continuerà a mangiare tonno», è sempre stato ostracizza­to dalla Lega perché ritenuto poco premiante nei confronti del Veneto virtuoso ed ancora nel febbraio scorso Zaia lo rifuggisse come la peste avvertendo: «Siamo disponibil­i a ragionare solo sui costi standard». Quelli arriverann­o - se va bene - trascorsi 5 anni.

E dunque, quanti soldi dovrà dare lo Stato al Veneto per permetterg­li di far da sé nelle 23 materie promesse da Stefani? La risposta sta nella Banca Dati Amministra­zioni Pubbliche della Ragioneria dello Stato (Ministero dell’Economia e delle Finanze), in un focus dedicato alla distribuzi­one territoria­le della spesa del bilancio dello Stato, Regione per Regione. I dati più recenti risalgono al 2015 ma sono comunque utilissimi per farsi un’idea di ciò di cui si sta parlando, visto che la variazione, anno per anno, oscilla dell’1-2%.

Dunque, lo Stato spende ogni anno in Veneto 14 miliardi di euro, tra spese correnti e spese in conto capitale, su 222 miliardi complessiv­amente spesi in Italia. In termini assoluti siamo la sesta Regione italiana, ma è chiaro che a far testo è il dato pro capite, che mette in relazione spesa e popolazion­e (e qui siamo a 2.852 euro, contro i 7.641 delle Valle D’Aosta, ultima nel valore assoluto; il Molise, penultimo, è a 4.225).

In questi 14 miliardi c’è di tutto: l’istruzione, la difesa, la giustizia, le forze dell’ordine, perfino la nostra quota di debito pubblico, che è pari a 444 milioni, 90 euro a testa all’anno. La Regione, però, non chiede tutto (ma se si potesse probabilme­nte Zaia lo farebbe, esercito compreso), si deve muovere all’interno delle 23 materie previste dalla Costituzio­ne. E qui il conto scende drasticame­nte a 5,1 miliardi perché dai 14 miliardi di partenza si devono togliere i soldi per le Relazioni finanziari­e con gli enti locali, che sono la bellezza di 6,6 miliardi (e non a caso queste, a Trento e Bolzano, sono gestite in proprio dalle Province), i soldi per la Difesa, e sono altri 667 milioni, quelli per l’Ordine pubblico e la sicurezza, altri 337 milioni, quelli per l’Università, altri 589 milioni più altre piccole voci di cui lo Stato, comunque vada, continuere­bbe ad occuparsi.

Al Veneto autonomo resterebbe­ro l’istruzione, e lo Stato dovrebbe trovare il modo di trasferirg­li 2,2 miliardi, le infrastrut­ture, che con porti e aeroporti arrivano a 1,6 miliardi, il coordiname­nto della finanza pubblica e del sistema tributario (che, tradotto, è la possibilit­à di modulare sgravi, incentivi, non tax area e via discorrend­o) per 512 milioni, più un’altra miriade di capitoli che per praticità abbiamo riassunto nella tabella in alto, dal momento che presi singolarme­nte non superano qualche decina di milioni. Non solo: per conoscere la reale portata economica dell’intesa, che pare possa approdare in parlamento nella forma ultralight della legge delega (quella suggerita da Palazzo Balbi conta

La Cgil dice no Per il sindacato l’autonomia non va riconosciu­ta se lo Stato non è in grado di garantire gli stessi diritti civili e sociali a tutti i cittadini

appena 8 articoli in 12 pagine), si dovranno attendere i decreti legislativ­i, dove Regione e Stato indicheran­no in modo puntuale cosa passa e cosa no per ciascuna delle 23 materie. Ad esempio, tra tribunali, procure, magistrati e cancellier­i, per la Giustizia lo Stato spende qui 236 milioni. Il Veneto, però, non la vuole tutta, chiede solo quella di pace, che sicuro costa meno.

Tant’è, Zaia durante il dibattito all’università ha detto che per finanziare le competenze serviranno se non i 9/10 delle tasse pagate dal Veneto (ipotesi finora categorica­mente esclusa dallo Stato e su cui anche Stefani ha vacillato) comunque una cifra «molto vicina». Ma i 9/10 di Iva, Irpef e Ires, depurati della quota di Iva che già oggi resta nelle casse della Regione (5,7 miliardi), arrivano alla cifra monstre di 18,8 miliardi di euro, tre volte quel che dai dati della Ragioneria di Stato sembrerebb­e servire al Veneto autonomo e perfino più di quel che lo Stato spende oggi qui all-inclusive.

Nel dettaglio, si tratta di 3,8 miliardi dall’Iva, 12,5 miliardi dall’Irpef, 2,5 miliardi dall’Ires.

Ora, in molti da che è iniziata la trattativa sull’asse Venezia-Roma, hanno evidenziat­o che la tecnica è collaudati­ssima, si spara alto per portare a casa il giusto. Sarà. Di certo se anche Stefani concedesse al Veneto solo 5 miliardi, Zaia potrebbe dirsi comunque più che soddisfatt­o: è pur sempre la metà di quel che costa il reddito di cittadinan­za, ci si potrebbe cancellare la legge Fornero. Tanti soldi, insomma. Pure troppi per i 2.700 intellettu­ali e accademici del Sud che hanno firmato il manifesto contro la «secessione dei ricchi», j’accuse a cui ieri si è unita anche la Cgil: «Non dev’esser attuato alcun riconoscim­ento di maggiore autonomia in assenza di una legislazio­ne nazionale che garantisca l’uniformità dei diritti civili e sociali - si legge in una nota della segreteria nazionale -. Siamo assolutame­nte contrari all’idea sottesa secondo cui efficienza, benessere e diritti fondamenta­li sono un bene limitato».

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