Ciclone vendite on-line, Mainetti entra nelle etichette intelligenti
Acquisizioni tra Italia e Giappone per il colosso degli appendini
Potenza della corsa inarrestabile delle vendite on-line. Che negli Stati Uniti erodono quelle tradizionali al ritmo del 15% l’anno e che anche in Italia lo fanno intorno al 5-6%. Dinamica inarrestabile e che costringe gli attori di tutti i settori economici a chiedersi come far fronte ai cambiamenti sempre più impetuosi indotti da digitale e commercio elettronico. Succede anche per Mainetti, il colosso mondiale dell’appendino per abiti, quartier generale a Castelgomberto, a due passi dalla Valdagno dei Marzotto, con 6 miliardi di pezzi prodotti ogni anno, che rappresentano il 30% del mercato mondiale del settore. Equivalenti a 500 milioni di euro di ricavi su scala planetaria, realizzati con un’ampia rete di società e siti produttivi, alle spalle dei distretti della moda e dell’abbigliamento.
Un colosso, a marchio Mainetti, che fa capo alla holding Mauna, la joint venture costituita con la famiglia indiana Chandaria (che ne detiene la maggioranza), e strutturatosi intorno a quattro poli fondamentali. Il primo resta Castelgomberto, che presidia l’Europa con soluzioni di fascia elevata per l’alta moda, con Mainetti spa, fatturato 57 milioni di euro con oltre 200 addetti, e 80 milioni di euro di ricavi consolidato con le altre società del gruppo, come la trevigiana Mainetti Bags: la base italiana funziona da polo dell’innovazione per tutto il gruppo, che si spinge fino alla progettazione in casa dei macchinari, sempre più spinti sull’automazione. Ma poi ci sono anche la Gran Bretagna, polo storico per il mondo anglosassone (i soli Stati Uniti assorbono tre miliardi di appendini l’anno), e India e Hong Kong, che presidiano il Far East.
Il tutto creato con un’operazione di internazionalizzazione ante litteram, visto che la joint venture Mainetti-Chandaria risale al 1974, ben prima che la globalizzazione diventasse parola consueta; e che ha fatto letteralmente esplodere l’azienda fatta nascere nel 1961 dai quattro fratelli Mario, Romeo, Gianni e Luigi Mainetti, inventori di fatto dell’appendiabiti di plastica. Una novità nata tra inventiva e manualità, com’era tipico di quei tempi, proposta per prima (senza successo, almeno inizialmente) alla Marzotto dei tempi d’oro, dopo che Romeo, meccanico della Ferrari, era arrivato da Reggio Emilia a Valdagno per occuparsi della manutenzione delle auto con cui il conte Giannino correva alla Mille Miglia.
Idea decisamente da pionieri, allora, quella di cedere il controllo. Ma scelta decisiva che ha fatto della Mainetti il colosso mondiale del suo settore, che però continua a mantenere a Vicenza il suo cuore più innovativo. «La trattativa iniziale prevedeva addirittura che i fratelli Mainetti dovessero rimanere per poco. Invece si è aperto un sodalizio tra le parti che dura tutt’ora e che ha mantenuto in capo alla famiglia italiana lo sviluppo del prodotto», racconta il direttore generale di Mainetti, Gabriele Bosco.
Sarà anche per questa capacità di precorrere i tempi che Mainetti sta ora affrontando per tempo la svolta delle vendite on-line. Con la loro pressione verso gli imballaggi - tra buste in plastica e scatole dentro scatole, bauletti e veline, sacchetti e copriabiti, e sigilli di sicurezza - che fanno senza gli appendini. Un settore su cui Mainetti ha ormai messo a punto un ampio catalogo di soluzioni. Ma su cui attua adesso un’ulteriore decisa accelerazione. Con l’acquisizione (operazione assistita da Unicredit Banca e dagli studi Bm&a e Consimp di Treviso) in parallelo di due aziende, tra Italia e Giappone.
Da un lato il 100% di Reca group, l’azienda di Carpi della famiglia Diacci, 17 milioni di ricavi (in crescita a doppia cifra) e 60 dipendenti, nota nel settore per le etichette destinati agli abiti d’alta moda, che realizza con gli stessi criteri, arrivando a produrre le etichette per collezioni create da un centro stile. Dall’altro lato l’acquisizione della giapponese Fwg, specializzata nella realizzazione dei chip, o dei cartellini che integrano i chip, con produzioni in Cina, Vietnam e Bangladesh. Quelli che i produttori più moderni e i colossi della grande distribuzione, da Zara a Decathlon, utilizzano con i lettori a radiofrequenza, per avere in tempo reale l’inventario della merce presente lungo la catena della fornitura, dalla produzione, ai magazzini fino ai negozi, avendo così la possibilità di mettere in campo rapidi interventi correttivi. Due acquisizioni portate avanti in parallelo, perché destinate ovviamente a integrarsi.
Perché la torta dei ricavi, con l’on-line, è destinata a modificarsi anche per Mainetti. «Il packaging vale per noi a 50 milioni di ricavi (in Italia sono 5). Ma li vediamo in aumento del 20% già l’anno prossimo e quei tassi di crescita rimarranno tali - racconta il vice direttore generale Michele Rinelli -. Il trend è inesorabile così come è chiaro che gli investimenti vanno fatti lì: quello è il futuro; mentre gli appendini resteranno stabili». Anche se pure lì non si rinuncia a fare innovazione. Come capita con l’appendino prodotto in cartone. Perché l’ecostenibilità è un altro trend per il futuro che pervade anche il commercio tradizionale.
I manager Trend inesorabile che per noi crescerà del 20% l’anno