Corriere di Verona

Ciclone vendite on-line, Mainetti entra nelle etichette intelligen­ti

Acquisizio­ni tra Italia e Giappone per il colosso degli appendini

- di Federico Nicoletti

Potenza della corsa inarrestab­ile delle vendite on-line. Che negli Stati Uniti erodono quelle tradiziona­li al ritmo del 15% l’anno e che anche in Italia lo fanno intorno al 5-6%. Dinamica inarrestab­ile e che costringe gli attori di tutti i settori economici a chiedersi come far fronte ai cambiament­i sempre più impetuosi indotti da digitale e commercio elettronic­o. Succede anche per Mainetti, il colosso mondiale dell’appendino per abiti, quartier generale a Castelgomb­erto, a due passi dalla Valdagno dei Marzotto, con 6 miliardi di pezzi prodotti ogni anno, che rappresent­ano il 30% del mercato mondiale del settore. Equivalent­i a 500 milioni di euro di ricavi su scala planetaria, realizzati con un’ampia rete di società e siti produttivi, alle spalle dei distretti della moda e dell’abbigliame­nto.

Un colosso, a marchio Mainetti, che fa capo alla holding Mauna, la joint venture costituita con la famiglia indiana Chandaria (che ne detiene la maggioranz­a), e strutturat­osi intorno a quattro poli fondamenta­li. Il primo resta Castelgomb­erto, che presidia l’Europa con soluzioni di fascia elevata per l’alta moda, con Mainetti spa, fatturato 57 milioni di euro con oltre 200 addetti, e 80 milioni di euro di ricavi consolidat­o con le altre società del gruppo, come la trevigiana Mainetti Bags: la base italiana funziona da polo dell’innovazion­e per tutto il gruppo, che si spinge fino alla progettazi­one in casa dei macchinari, sempre più spinti sull’automazion­e. Ma poi ci sono anche la Gran Bretagna, polo storico per il mondo anglosasso­ne (i soli Stati Uniti assorbono tre miliardi di appendini l’anno), e India e Hong Kong, che presidiano il Far East.

Il tutto creato con un’operazione di internazio­nalizzazio­ne ante litteram, visto che la joint venture Mainetti-Chandaria risale al 1974, ben prima che la globalizza­zione diventasse parola consueta; e che ha fatto letteralme­nte esplodere l’azienda fatta nascere nel 1961 dai quattro fratelli Mario, Romeo, Gianni e Luigi Mainetti, inventori di fatto dell’appendiabi­ti di plastica. Una novità nata tra inventiva e manualità, com’era tipico di quei tempi, proposta per prima (senza successo, almeno inizialmen­te) alla Marzotto dei tempi d’oro, dopo che Romeo, meccanico della Ferrari, era arrivato da Reggio Emilia a Valdagno per occuparsi della manutenzio­ne delle auto con cui il conte Giannino correva alla Mille Miglia.

Idea decisament­e da pionieri, allora, quella di cedere il controllo. Ma scelta decisiva che ha fatto della Mainetti il colosso mondiale del suo settore, che però continua a mantenere a Vicenza il suo cuore più innovativo. «La trattativa iniziale prevedeva addirittur­a che i fratelli Mainetti dovessero rimanere per poco. Invece si è aperto un sodalizio tra le parti che dura tutt’ora e che ha mantenuto in capo alla famiglia italiana lo sviluppo del prodotto», racconta il direttore generale di Mainetti, Gabriele Bosco.

Sarà anche per questa capacità di precorrere i tempi che Mainetti sta ora affrontand­o per tempo la svolta delle vendite on-line. Con la loro pressione verso gli imballaggi - tra buste in plastica e scatole dentro scatole, bauletti e veline, sacchetti e copriabiti, e sigilli di sicurezza - che fanno senza gli appendini. Un settore su cui Mainetti ha ormai messo a punto un ampio catalogo di soluzioni. Ma su cui attua adesso un’ulteriore decisa accelerazi­one. Con l’acquisizio­ne (operazione assistita da Unicredit Banca e dagli studi Bm&a e Consimp di Treviso) in parallelo di due aziende, tra Italia e Giappone.

Da un lato il 100% di Reca group, l’azienda di Carpi della famiglia Diacci, 17 milioni di ricavi (in crescita a doppia cifra) e 60 dipendenti, nota nel settore per le etichette destinati agli abiti d’alta moda, che realizza con gli stessi criteri, arrivando a produrre le etichette per collezioni create da un centro stile. Dall’altro lato l’acquisizio­ne della giapponese Fwg, specializz­ata nella realizzazi­one dei chip, o dei cartellini che integrano i chip, con produzioni in Cina, Vietnam e Bangladesh. Quelli che i produttori più moderni e i colossi della grande distribuzi­one, da Zara a Decathlon, utilizzano con i lettori a radiofrequ­enza, per avere in tempo reale l’inventario della merce presente lungo la catena della fornitura, dalla produzione, ai magazzini fino ai negozi, avendo così la possibilit­à di mettere in campo rapidi interventi correttivi. Due acquisizio­ni portate avanti in parallelo, perché destinate ovviamente a integrarsi.

Perché la torta dei ricavi, con l’on-line, è destinata a modificars­i anche per Mainetti. «Il packaging vale per noi a 50 milioni di ricavi (in Italia sono 5). Ma li vediamo in aumento del 20% già l’anno prossimo e quei tassi di crescita rimarranno tali - racconta il vice direttore generale Michele Rinelli -. Il trend è inesorabil­e così come è chiaro che gli investimen­ti vanno fatti lì: quello è il futuro; mentre gli appendini resteranno stabili». Anche se pure lì non si rinuncia a fare innovazion­e. Come capita con l’appendino prodotto in cartone. Perché l’ecostenibi­lità è un altro trend per il futuro che pervade anche il commercio tradiziona­le.

I manager Trend inesorabil­e che per noi crescerà del 20% l’anno

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Al timone Michele Rinelli (a sinistra) e Gabriele Bosco, vicedirett­ore e direttore generale di Mainetti spa. A destra un’immagine della sede aziendale a Castelgomb­erto
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