L’anestesista: «Mollo Verona perché sono esasperata»
Dottoressa Giulia Castelli, anestesista, perché ha deciso di lasciare l’Azienda ospedaliero-universitaria di Verona?
«A malincuore ho scelto di andare a lavorare in Alto Adige, dove a parità di stipendio mi si chiedono due terzi delle ore coperte adesso a Verona. Mi dispiace molto lasciare la mia città, dove ho studiato, mi sono specializzata, ho casa e famiglia d’origine, ma negli anni il carico di lavoro è aumentato sempre più e di conseguenza è scaduta la qualità dell’assistenza. Per il medico è una frustrazione non poter svolgere bene il proprio mestiere, perché sempre di corsa, oberato da mille incarichi e non sostenuto da una governance inadeguata». E’ una sconfitta per tutti. «Eh sì, ma se uno non ha lo spirito del missionario non può reggere. Anche perché se poi, in queste condizioni, succede qualcosa, ci mettono cinque minuti a dare la colpa al medico. Io non ho figli, non sono vincolata a Verona e faccio parte degli specialisti più ricercati, gli anestesisti appunto, quindi non ho problemi a trovare un altro posto. Ho aspettato che il mio contratto scadesse, è successo ieri, e ho dato le dimissioni. Il prossimo mese inizio il servizio in un ospedale pubblico dell’Alto Adige, al quale già garantivo un numero di prestazioni in regime di libera professione».
Almeno resta nel sistema pubblico.
«Sì, ma se non va bene non ci metto niente a passare al privato. Mi hanno esasperata, sono stufa di lavorare in queste condizioni».
Non aiuta la soddisfazione di far parte di un grande ospedale, nel suo caso anche universitario?
«Non andrò mai più in un ospedale universitario, dove gli specializzandi vengono utilizzati per sostituire gli strutturati e non per fare esperienza al loro fianco, come dovrebbe essere. Non hanno la preparazione adeguata per svolgere certe funzioni e se accade l’imprevisto la responsabilità è anche nostra, che siamo i tutor. Io devo gestirmi la mia sala operatoria e nello stesso tempo stare attenta a cosa combina lo specializzando nell’altra. Follia».
O necessità di colmare le carenze di camici bianchi?
«Non c’è nessuna volontà di correggere queste distorsioni del sistema. Al limite, se prendessi 5mila euro al mese potrei anche provare a stringere i denti ancora per un po’, ma per 2700 euro chi me la fa fare di seguire 18 pazienti in Rianimazione da sola? Se sbaglio mi portano pure in tribunale». Non ne può proprio più.
«A me piace tanto il mio lavoro, lo svolgo con dedizione, ho studiato dieci anni, ma non posso stare dentro un sistema così demoralizzante. Mollo il pubblico perchè mi ha fatto venire l’esaurimento nervoso».