La promessa di Papaleo «Uno show fra la gente»
«Cerchiamo di abbattere la barriera tra l’esibente e il pubblico. Nello spettacolo è insita un’idea di contatto e fisicità. Un toccarsi non solo simbolico, si stringeranno mani e ci saranno pacche sulle spalle».
Rocco Papaleo spiega così il suo teatro «a portata di mano» che si concretizzerà sul palco del Festival delle Basse, domenica 23 settembre alle 19, nello show «Rocco Papaleo Live».
Che spettacolo sarà?
«È difficile prevederlo perché si andrà incontro alla suggestione provocata dalla situazione. Non verrò ad improvvisare, ma nemmeno ho un piano preciso. Arriverò sul palco con il mio pianista e abbiamo in testa una serie di cose possibili da fare, ma vorrei vivere l’occasione come uno stimolo: verrò con gli attrezzi del mestiere ma non so ancora quali userò».
Musica e recitazione: nel teatro canzone Giorgio Gaber rimane un riferimento?
«Chi fa teatro canzone non può prescindere dalla grandezza di Gaber. Consciamente e inconsciamente è ovvio e naturale ispirarsi a lui».
Ha compiuto sessant’anni: il regalo più bello che ha ricevuto?
«Per mia abitudine non festeggio i compleanni. Questo evento l’ho passato in un albergo da solo per godermi il momento e interrogarmi, per celebrarlo con una serie di riflessioni. Credo che questo compleanno mi abbia messo positivamente in discussione. Il regalo è stata questa introspezione che mi sono concesso da solo».
Il complimento più apprezzato per la sua arte?
«Non ricordo chi me lo ha fatto. Dopo uno spettacolo in un teatrino, più o meno trent’anni fa, un signore mi disse che gli era piaciuto molto perché sapevo ascoltare mentre recitavo. Finché non me l’hanno detto, questa cosa era assolutamente inconscia. E quel complimento è stato prezioso: mi sono reso conto di una cosa e ho provato a coltivarla».
Ha recentemente interpretato Athos in un film in costume, che esperienza è stata?
«Un’esperienza così totalizzante non l’avevo mai fatta. Il film dei Moschettieri ha previsto anche un lungo addestramento in cui ho dovuto imparare ad andare a cavallo e a tirare di scherma. È stata una bella fatica, sia prepararsi che girare».
Tra i quasi 60 ruoli interpretati in carriera quale le assomiglia di più? A quale è maggiormente legato?
«Le due cose coincidono. Nel film “Basilicata coast to coast” ero quasi completamente me stesso, ero riconoscibilissimo, e in fondo raccontavo il “piano B” della mia vita, ciò che sarebbe stato se non avessi fatto l’attore di professione. Quel personaggio, Nicola Palmieri, sono io in un’altra versione della mia vita. Sono poi molto legato al film perché è quello che più mi ha rivelato sia intimamente che artisticamente».
Da “Basilicata coast to coast” a “Onda su onda”, ogni tre anni esce un suo film che la vede impegnato dietro la cinepresa. In vista un nuovo lungometraggio?
«In realtà no, perché l’ultimo film è stato un flop piuttosto deprimente. In “Onda su onda” riponevo speranze, visto che mi sembrava un buon film, ma l’insuccesso mi ha posto l’interrogativo importante se quello che sento in questo momento interessi al pubblico o meno. Ora sto scrivendo un nuovo spettacolo di teatro canzone dove il mio percorso non ha subito veri rallentamenti: al momento mi sento più spinto verso questa forma di arte».
Un ricordo del Veneto?
«È una regione con grande cultura teatrale e una drammaturgia propria. In Veneto mi sento sempre al mio posto».
Sul palco L’attore, il 23 settembre, dialogherà con il pubblico, insieme ad un pianista