La cogestione e il caso Manfrotto Bentivogli: «Un modello per l’Italia»
I sindacati nella stanza dei bottoni: «Le medie imprese ora lo copino»
«L’accordo raggiunto alla Manfrotto è un’innovazione per l’Italia, un modello che vogliamo replicare in tutte le prossime trattative». Marco Bentivogli, segretario generale dei metalmeccanici Cisl, è forse la voce più convinta. E il fatto che il leader della Fim sia salito ieri fino a Feltre, sede dello stabilimento della casa italiana dei cavalletti fotografici e video parte del gruppo britannico Vitec, per incontrare i 350 dipendenti, restituisce il valore dell’integrativo che delinea un modello di cogestione all’italiana. Perché fa entrare i rappresentanti dei dipendenti nella «stanza dei bottoni»: «Lo inseguivamo da trent’anni – aggiunge Bentivogli - simile alle esperienze già realizzate in Germania e nei Paesi nordici. Avere un componente Rsu nel comitato strategico del Cda significa partecipare attivamente alle scelte strategiche dell’azienda. È un passo importante, che pone l’accento sulla responsabilità sociale dell’impresa e spinge i sindacati a partecipare al miglioramento delle performance aziendali».
Concetti riproposti poi nel pomeriggio a Vicenza, nella sede di Confindustria, dove il caso della società con sede a Bassano (230 milioni di fatturato con 500 dipendenti) è stato discusso come esempio da seguire. L’accordo siglato a giugno garantisce un premio di risultato di 1.100 euro; il cui riconoscimento è valutato in un percorso certificato definito da azienda e sindacati; c’è poi l’introduzione di un passaporto della professionalità, che certifica i risultati raggiunti con la formazione. E poi fa entrare un rappresentante sindacale nel comitato strategico che deve valutare i piani strategici dell’azienda.
Modello replicabile anche in altre aziende di casa nostra? O un unicum di un’azienda inserita in un grande gruppo internazionale quotato? «Ci piacerebbe fosse vista come esempio, per questo la poniamo all’attenzione - dice il presidente di Confindustria Vicenza, Luciano Vescovi -. Anche perché in ogni caso capitalizza il punto di forza della considerazione positiva che la società ha delle imprese e il buon clima interno tipico delle nostre imprese, uno dei motivi per cui ancora le multinazionali investono da noi».
«In nove anni siamo passati da 80 a 230 milioni semplicemente investendo in tecnologia e competenze dei nostri addetti. Le nostre dimensione ed esperienza non sono fuori portata rispetto alle tipiche medie imprese di queste parti, quelle tra i 30 e i 50 milioni di fatturato; e non c’è alcun motivo per cui le migliori pratiche di coinvolgimento degli attori interni ed esterni all’azienda non possano essere sperimentati - dice l’amministratore delegato Marco Pezzana -. Per noi aver coinvolto i sindacati nella valutazione del piano strategico significa raccogliere idee e costruire la condivisione e la partecipazione del personale, evitando il rischio di ritrovarsi con problemi successivi. Certo, va messo in conto che una linea operativa di questo tipo implica una totale trasparenza sulle scelte». Insomma, astenersi chi abbia in testo ancora
modelli padronali datati.
E tuttavia, a giudicare dai risultati, il gioco vale la candela. Non c’è solo la crescita di lungo periodo già delineata. Ma anche programmi come l’introduzione dell’automazione 4.0, con l’investimento di 10 milioni che ha permesso di portare in Italia lavorazioni inaffrontabili per costi e che prima stavano in Asia. «Per noi 4.0 ha significato riqualificare il personale e introdurre software che hanno cambiato i processi produttivi e integrato la catena organizzativa. Con linee produttive a prova di errore che ‘chiamano’ direttamente la componentistica necessaria ed alleggeriscono i problemi di magazzino - aggiunge Pezzana -. In questo nuovo contesto abbiamo potuto portare qui la produzione di attrezzature che hanno prezzi competitivi, prima in Far East, e che valgono il 12% dei nostri volumi di produzione complessivi».