Corriere di Verona

I quadri di Castelvecc­hio ritrovati e poi in «ostaggio» Tornarono da Kiev solo dopo quel voto del consiglio

- L.A.

Tutto era cominciato nella fredda notte del 19 novembre 2015, quando, attorno alle 19.40, pochi minuti dopo la chiusura delle sale, tre rapinatori armati e a volto coperto, grazie alla complicità di un custode, entrarono nel Museo di Castelvecc­hio, immobilizz­arono l’unica custode che era rimasta sul posto, sequestrar­ono la guardia giurata, portandola con sé, e riuscirono a trafugare 17 preziosiss­ime opere d’arte.

Tra gli autori di quei quadri ricordiamo Rubens, Mantegna, Tintoretto, Pisanello e Caroto, per un valore stimato del bottino attorno ai 20 milioni di euro.

Le indagini, coordinate a Verona dal sostituto procurator­e Gennaro Ottaviano, si mostrarono subito difficilis­sime. Quasi quattro mesi dopo, il 15 marzo 2016 le forze dell’ordine annunciaro­no l’arresto degli autori del furto, indicando nella guardia giurata uno dei complici (come si era immediatam­ente sospettato) e arrestando altri componenti della banda.

Solo il 15 maggio successivo, però, i quadri furono ritrovati in un prato dell’isola di Turunciuk sul fiume Dnesdr, tra la regione di Odessa e la Transnistr­ia, al confine con la Moldavia. A prenderli in consegna fu personalme­nte il presidente ucraino, Petro Poroshenko, che per diversi mesi li fece esporre al museo di Kiev (in una mostra inaugurata il 13 giugno dal sindaco Tosi assieme a Poroshenko, mostra molto criticata a Verona ma che ebbe ben ottantamil­a visitatori, e che Tosi giustificò come «ringraziam­ento» alle autorità di Kiev per la loro collaboraz­ione nelle indagini).

Qualche settimana dopo, Ettore Napione, curatore della Pinacoteca di Castelvecc­hio, volò a Kiev per certificar­e l’autenticit­à delle opere ritrovate. Solo il 21 dicembre di quell’anno, l’allora ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschi­ni, affiancato da Flavio Tosi, volò a Kiev per prendere in consegna, dalle mani di Poroshenko, il preziosiss­imo «bottino», riportando­lo la sera stessa a Verona, con un volo diretto all’aeroporto di Villafranc­a.

Nel frattempo, il 5 dicembre, il tribunale di Verona aveva già condannato a 37 anni di carcere complessiv­i i sette imputati per la rapina (e la pena più alta era stata comminata a Pasquale Silvestri Ricciardi, fratello della guardia giurata che quella sera era in servizio a Castelvecc­hio).

Sul ruolo del presidente Poroshenko in tutta la vicenda esplose subito una dura polemica. Ci fu chi protestò per il tempo eccessivo passato tra il ritrovamen­to e la riconsegna all’Italia dei quadri, e l’avvocato veronese Guariente Guarienti denunciò addirittur­a il presidente ucraino per ricettazio­ne.

L’allora sindaco Flavio Tosi sottolineò invece che, senza l’aiuto del presidente, il tempo avrebbe potuto essere molto ma molto più lungo (all’Olanda erano occorsi 7 anni per risolvere una questione molto simile). E su queste basi, Tosi chiese e ottenne che il consiglio comunale votasse per concedere a Poroshenko la cittadinan­za onoraria.

Dopo di che, ci sono state le elezioni comunali del 2017, Federico Sboarina è diventato sindaco e la maggioranz­a, a Palazzo Barbieri, è cambiata. Il leghista Vito Comencini (molto vicino agli indipenden­tisti ucraini filo-russi) ha proposto già all’inizio di quest’anno che la cittadinan­za onoraria venisse revocata. Richiesta accolta l’altra sera dall’assemblea municipale col voto favorevole di tutti i partiti, dall’estrema destra all’estrema sinistra, e quello contrario dei soli consiglier­i tosiani.

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