«Discriminazione sessuale» Cento richiedenti asilo trovano aiuto a Verona
Esperti in università per il convegno contestato dall’estrema destra
Sono oltre un centinaio i richiedenti asilo per motivi di discriminazione sessuale seguiti dal 2017 a oggi dai due sportelli aperti in città, lo Sportello Migranti Lgbt creato da Arcigay Verona e lo sportello Pink Refugees creato dal Circolo Pink. Ma coi casi di migranti Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) che ancora non trovano la forza di parlare – violenze, minacce, pericoli di vita, rifiuti della famiglia legati al proprio orientamento sessuale, questi i motivi delle fughe – «il numero potrebbe anche raddoppiare o triplicare», come riflette Massimo Prearo, ricercatore dell’Università di Verona.
Era ieri tra i relatori, Prearo, del convegno «Richiedenti asilo, identità di genere e orientamento sessuale» organizzato dall’Università, curato dai dipartimenti di Scienze giuridiche e Scienze umane, accreditato dall’ordine degli Avvocati e ospitato dal palazzo di Giurisprudenza di via Montanari. Trattasi del convegno originariamente programmato per il 25 maggio scorso, all’epoca saltato dopo le pressioni politiche dalla destra radicale, in particolare Forza Nuova, che minacciò di impedirne lo svolgimento «anche con la forza». Ecco perché ieri erano presenti Digos e un nucleo di forze dell’ordine. Risultato: tutto tranquillo, dentro e fuori.
Dentro, in aula magna, un centinaio di persone a seguire gli interventi dei tanti ospiti, tra professori, addetti ai lavori ed esperti del tema. Interventi aperti da quello del rettore, Nicola Sartor, che a margine spiegava: «A maggio non eravamo sicuri di poter fare il convegno, dire “sì lo facciamo comunque” sarebbe stata la via più facile, ma l’incolumità delle persone era la priorità. Non succede solo a Verona, ma in Italia e in Europa, che si crei un clima pericoloso per la libertà d’espressione. Oggi rimarchiamo i principi fondamentali della libertà di insegnamento, ricerca e formazione, e del rifiuto dell’intolleranza, perché l’università deve ignorare ogni frontiera geografica o politica e affermare la necessità della conoscenza reciproca e interazione delle culture».
Dicevamo, allora, dei richiedenti asilo per motivi di discriminazione sessuale. Allo sportello creato da Arcigay lavora Giulia De Rocco, che spiega: «Arrivano da Nigeria, Mali, Costa d’Avorio, Gambia, Senegal, Pakistan. Ragazzi e ragazze tra i 20 e i 30 anni, mediamente, di cui l’85 per cento ragazzi, perché per le donne è più difficile scappare essendo state cresciute in un rapporto di dipendenza economica dagli uomini. Desiderano solo vivere serenamente la propria sessualità e arrivano qui in Europa perché sanno che c’è una legge a difesa dell’orientamento sessuale». Il lavoro dello sportello? Dice De Rocco: «Queste persone, che spesso ci vengono segnalate dai centri d’accoglienza dopo il loro coming-out, hanno bisogno di un clima di fiducia grazie a cui aprirsi. Perché non sono abituate all’idea di poter dire “sono gay”. Quello è il passo fondamentale per accompagnarle alla commissione territoriale in prefettura, che decide sulla necessità di protezione. Se la risposta è no, e spesso il motivo sono l’incapacità del richiedente di raccontarsi o incongruenze cronologiche nel racconto, allora può scattare il ricorso al tribunale. Se anche il tribunale non concede l’asilo, scatta il decreto d’espulsione. È soprattutto in tribunale, devo dire, che vengono accolte le richieste».
La storia di un richiedente d’asilo non finisce comunque lì. «In caso di asilo concesso deve poi integrarsi, trovare un lavoro e una casa (sull’integrazione degli immigrati peraltro l’ateneo compirà una ricerca finanziata per 200 mila euro dalla Regione, ndr). Integrarsi a Verona? Non è facile – riflette De Rocco – perché non è facile per un veronese affittare a un ragazzo proveniente dall’Africa o dall’Asia. Non c’è un clima così favorevole. Di intimidazioni, a noi, n’è capitata una, un mese fa, una svastica sulla porta dell’associazione, ma abbiamo subito indetto un concorso per il disegno più bello con cui cancellarla».
Il rettore L’ateneo deve ignorare le frontiere L’operatrice In città non c’è un clima favorevole