Migranti, le falle del decreto voluto da Salvini
Dall’altro, un aumento dei riconoscimenti della piena titolarità del diritto d’asilo, che altrove sono in percentuale nettamente maggiore che da noi. Poi c’è la sospensione della domanda di asilo nel caso di definita (vagamente) pericolosità sociale e nel caso di condanna in primo grado per alcuni reati gravi (come la violenza sessuale, il traffico di droga o la rapina) e meno gravi. La revoca della cittadinanza nel caso di reati gravissimi (come il terrorismo) si inserisce in un dibattito presente anche in altri paesi europei, che hanno fatto scelte analoghe. In entrambi i casi, si tratta di interventi che hanno anche un rilievo costituzionale che andrà approfondito. Quella che lascia più perplessi è tuttavia la parte del decreto relativa all’ordinaria amministrazione. E proprio nell’ottica di garantire più integrazione e sicurezza, dato che la prima produce la seconda e ne è la migliore garanzia. Accade con la scelta, anch’essa problematica sul piano dei diritti, di raddoppiare i tempi di permanenza nei CPR, i Centri per il rimpatrio (fino a 180 giorni, sostanzialmente a far nulla, fino all’espulsione). E soprattutto con la scelta di ridurre radicalmente il ruolo degli SPRAR. Gli SPRAR sono gli organismi, coordinati volontariamente dai comuni, che si occupano di integrare i richiedenti asilo: in attesa che se ne esamini la pratica, oltre all’ospitalità si effettuano corsi di lingua e cultura, e si sperimentano percorsi di avviamento al lavoro. Tutti sono concordi nel dire che sia il meccanismo che funziona meglio: il decreto rischia di svuotarli, per far entrare in essi solo i richiedenti già riconosciuti e i minori. Tutti gli altri verrebbero inviati nei CAS, i Centri di accoglienza straordinaria, contro cui maggiormente si è incentrata la polemica politica: perché, al di là di quelli gestiti dal volontariato organizzato, che spesso lavorano bene, vi sono quelli a mero scopo di lucro, gestiti da privati, che funzionano non di rado molto male. Gli scandali che hanno costellato le politiche di accoglienza sono tutti in questo ambito. Ebbene, contro ogni logica il decreto punta a ridurre il ruolo di chi lavora bene per implementare quello di chi lavora peggio. E a risparmiare sull’integrazione: che è invece la cosa di cui abbiamo più bisogno. Il problema dell’Italia non è che spende molto: è che spende male. Facendo accoglienza ma non integrazione, che è un investimento. Infine, il decreto si fa notare per ciò di cui non parla. Nessuna riapertura dei canali di ingresso regolari: ci si limita, come in passato, a gestire le conseguenze degli arrivi irregolari. Il buco maggiore, nella legislazione, sta qui. Ed è l’errore principale.