Corriere di Verona

I marmisti e la prima crisi dal 2008 «Ma il made in Italy ci salverà»

I produttori veronesi: «Momento difficile, tante cause»

- Orsato

VERONA Partita ieri in fiera Marmomac, il comparto a Verona si trova a fare i conti con la prima crisi dal 2008: il primo semestre ha segnato un export in calo del 15 per cento. Tante le cause, tra cui le tensioni internazio­nali. «Ma il made in Italy ci salverà», dicono i produttori.

La Turchia ha puntato sulla visibilità, con un immenso cartellone all’ingresso del Palaexpo. L’Iran è il Paese più «patriottic­o»: negli stand che arrivano da Teheran c’è grande abbondanza di bandiere. L’India è una presenza più discreta, ma non meno capillare. La Cina punta sulla strumentaz­ione ad alta tecnologia, più che sulla materia prima. E poi c’è il Brasile, che quasi non si vede. Anche perché, in parte per marketing, in parte per una questione culturale e genetica, punta molto sull’Italian sounding. Marmomac, si sa, è una vetrina internazio­nale: ma questi Paesi, presenti massicciam­ente all’evento fieristico, rappresent­ano, per i produttori veronesi, dei «sorvegliat­i speciali».

Opportunit­à, certamente, ma anche minacce. Un timore che parte da un dato: il calo del 15% dell’export a Verona nel primo semestre del 2018 (fonte Camera di Commercio), che nel settore lapideo si può quasi sovrapporr­e al fatturato, dato che le imprese lavorano quasi esclusivam­ente per l’estero. È il primo segno meno dal 2008, anno della crisi. I grossi nomi del distretto veronese del marmo non negano che la situazione non appare essere delle più promettent­i. «L’anno è iniziato male – spiega Francesco Antolini, dell’omonimo gruppo di Cavaion e vicepresid­ente di Confindust­ria marmo – ma le difficoltà superano il semestre: il calo è iniziato già lo scorso ottobre. Le ragioni? Sono molteplici e forse è difficile trovare una causa ben specifica. C’entra la ciclicità tipica del comparto, le incertezze a livello internazio­nali, anche politiche, a livello di Unione Europee». La concorrenz­a degli altri produttori di marmo si sente, per Antolini è al limite del dumping. «I Paesi emergenti possono immettere sul mercato un prodotto molto meno costoso. Il nostro è caricato dal peso delle tasse. Il settore del marmo non cerca incentivi, ma vorrebbe che lo Stato gli lasciasse un po’ di respiro. I dazi? Non so quanto possano aiutare, ma bisognereb­be aprire trattative con alcuni Paesi. Come Italia forse siamo troppo deboli, ma a livello europeo…»

E per l’export, su che posti scommetter­e? Luca Fasani, della Fasani Celeste di Erbezzo, si dice «deluso dai cosiddetti nuovi mercati promettent­i». «Alla fine questo mercato è una questione culturale – afferma – e se adesso stiamo facendo i conti con una situazione negativa, è perché non c’è stata una promozione adeguata del marmo veronese. Quello di Carrara non conosce crisi. Per questo dobbiamo puntare a mercati che sanno riconoscer­e la qualità. Penso agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna, a gran parte d’Europa».

Ma il calo, per Omar Abdel Larif, amministra­tore dell’Aatc di Sant’Ambrogio di Valpolicel­la, si è avuto anche su questi mercati più tradiziona­li. «Il made in Italy è comunque un marchio che ci salva sempre da crolli persino in un contesto difficile come quello dell’ultimo periodo», afferma. E gli altri cosa dicono? Tanto per cominciare ci sono imprese estere che hanno deciso di investire su Verona. È il caso di Guidoni, cognome italianiss­imo e primo esportator­e di granito dal Brasile, dove possiede 41 miniere. Ha aperto a Cavaion un hub logistico con showroom da 1050 metri quadrati, capace di contenere tremila lastre. «La provincia di Verona è una vetrina ideale – fa sapere Veronica Petropolis, direttrice marketing del gruppo – localmente abbiamo assunto tra quest’anno e il 2017 sei persone. Abbiamo prezzi bassi? Il nostro è un prodotto diverso, sono sicura che la presenza di realtà internazio­nali darà man forte al distretto veronese».

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