Il signore dei fischietti che amava il calcio all’antica
LUIGI AGNOLIN 1943-2018
Chissà quanto vale, al mercato dello spionaggio d’epoca, il dossier redatto dalla Stasi, l’implacabile polizia segreta della Germania Est, su «Agnolin Luigi, classe 1943, da Bassano del Grappa, arbitro internazionale di calcio»?
Con eventuali note, riferite alla sua carriera di «giacchetta nera» così anarchica e insofferente ai sistemi di potere, da meritarsi la fama di fischietto anti-Juve per eccellenza.
Memorie che spuntano, mentre si congeda dal mondo uno fra i massimi direttori di gara italiani di ogni tempo, spentosi ieri a Roma dopo lunga malattia.
Perché era un uomo così grande, spesso ai limiti dell’ingombrante, il Gigi Agnolin di cui si celebreranno le esequie domani alle 16,30 nel duomo di Bassano, da comprendere nel suo identikit innumerevoli sfaccettature estranee al verde rettangolo di gioco.
Per capirci meglio, chi avesse la ventura di scoprirlo, quel faldone, potrebbe rinvenirvi una nota di merito, vergata da un qualche plenipotenziario del regime comunista estintosi con il muro di Berlino.
L’ipotesi è plausibile rievocando il magistrale arbitraggio sciorinato da Agnolin la sera del 3 ottobre 1984 allo stadio Friedrich Ludwig Jahn, dove la Dinamo Berlino - che era emanazione calcistica proprio della Stasi - affrontava il club scozzese dell’Aberdeen nel match di ritorno dei sedicesimi di Coppa dei Campioni.
Dire che, in un’incessante bolgia di tifo, i tedeschi prima rifilano agli avversari lo stesso 2-1 subito all’andata, e poi si aggiudicano la sfida ai rigori, racconta solo in parte l’accaduto. «Perché, per farsi davvero un’idea, occorreva essere lì», precisa Flavio Ongaro, 73 anni, rodigino di Guarda Veneta, ex arbitro che quella sera era uno dei due guardalinee al servizio di Agnolin. «Una battaglia incessante – ricorda Ongaro – tanto che a un certo punto, dopo l’ennesimo fallo a gamba tesa, scoppia una rissa colossale. E Agnolin allora, cosa fa? Gli basta mettersi al centro esatto della zuffa, con tutta la sua imponenza, per far capire che nessuno di loro gli fa paura e che, anzi, tutti gli devono rispetto… Così, giusto il tempo di tirare fuori qualche cartellino, e gli animi si placano, così poi la partita finisce regolarmente, con tanto di generale della Stasi a renderci onore in spogliatoio, scortato da un picchetto, per il coraggio dimostrato in campo».
Chi lo ha conosciuto nelle 226 partite di Serie A, arbitrate fra il 18 marzo 1973 di Fiorentina-Cagliari 3-0 e il 29 aprile 1990 di Udinese-Inter 4-3, ha sicuramente riconosciuto in questo episodio i tratti del personaggio Agnolin.
Il quale, per prestanza fisica e partecipazione totale all’evento agonistico, risultava simile più a un ventitreesimo e neutrale giocatore in campo, che a un asettico e intoccabile interprete di regolamenti.
A questo proposito, tra i frame che lo ricordano in Rete, colpisce il filmato di un’Inter-Lazio del 1979 quando, sulla respinta della difesa biancoceleste, lo si vede piegato di schiena con il braccio steso verso la porta, quasi per «evocare» il tiro del gol partita puntualmente scoccato dall’accorrente Giampiero Marini.
«Le moviole aiutano a interpretare qualche azione di gioco, ma niente può sostituire l’esperienza dell’arbitro, il suo modo di sentire la partita», dichiarò Agnolin in un’intervista rilasciata quattro anni fa al quotidiano Il
Tirreno, durante la sua esperienza al Siena Calcio, ultima di una carriera da dirigente decisamente inferiore a quella di arbitro, culminata in campo internazionale nella finale di Coppa dei Campioni del 1988, vinta ai rigori dal PSV Eindhoven sul Benfica. Con questa sua visione empatica, quanto rigorosa, dell’arbitraggio, ci si è misurati in Italia e fuori, lasciandoci spesso l’impressione che fosse sufficientemente isolata, e all’occorrenza avversata.
Lo dimostrò anche l’allora presidente della Fifa, Sepp Blatter, estromettendolo dopo una sola partita, giocata fra Jugoslavia e Colombia, dai Mondiali italiani del ’90, dove era candidato a dirigere almeno una semifinale.
Quanto alla fama di fischietto anti-Juve, dovuta alla celebre e venetissima frase, «Ve fasso un sesto così», rivolta ai bianconveri in un derby del 1980 vinto dal Torino, e costatagli poi quattro mesi di sospensione, echi non mancano neppure nel momento dell’addio.
Tanto che, nel pezzo comparso in memoria di Gigi Agnolin sul sito «sportavellino.it» si ricorda ancora, con infinita gratitudine, il generoso rigore grazie a cui gli irpini batterono la Juve, in una «storica» partita giocata 39 anni fa. Di cui forse compare traccia in quel dossier della Stasi.