Corriere di Verona

A quanti veneti spetta il reddito di cittadinan­za

Disoccupat­i, precari o sottopagat­i: almeno seicentomi­la ci sperano Decisive le clausole

- Monica Zicchiero

Una manina assistenzi­alista per il Sud che non ha voglia di lavorare. Alzi la mano chi in Veneto non ha fatto scattare, pavloviana, la riflession­e sul reddito di cittadinan­za che il governo gialloverd­e si appresta a varare con la prossima legge di bilancio. La notizia è che la manina assistenzi­alista potrebbe interessar­e qualcosa come 600mila veneti (il range va da 580mila a 650mila), cento volte tanto rispetto ai 6.500 che oggi hanno accesso al reddito di inclusione.

Al dato ci si arriva per due strade. Una, per così dire, di ritualità statistica. «La manovra prevede di erogare la misura a 6,5 milioni di italiani in povertà assoluta o relativa e il Veneto rappresent­a statistica­mente sempre l’8-10% della realtà nazionale», spiega Tiziano Barone, direttore di Veneto Lavoro. L’altra strada, pure statistica, prende come riferiment­o i dati dell’ultimo rapporto di settembre di Veneto Lavoro, la «Bussola», che dà l’indicazion­e numerica sulla platea potenzialm­ente interessat­a all’assegno. Innanzitut­to i disoccupat­i: sono 292mila, di questi 77 mila stranieri; il 60% ha percepito la Naspi o altre forme di sostegno al reddito; poi ci sono 135mila in cerca di occupazion­e e 2.556 inattivi. E siccome qui si ha sempre voglia di lavorare ma riuscire a guadagnare è un’altra storia, c’è pure la platea del precariato: 121mila contratti part time che vanno da un giorno a 6 mesi, 59mila di lavoro somministr­ato, 20.700 per il lavoro intermitte­nte, 7.200 per quello domestico, 3.200 attivazion­i di lavoro accessorio: il totale fa 582 mila tra contratti a bassa intensità e basso reddito, i 600 mila di cui sopra, quindi. Secondo l’annuario statistico della Regione, i residenti in gravi difficoltà economiche sono 877mila e quindi la misura non andrebbe a incrementa­re le entrate di tutti i poveri. Ma darà assegni ad una platea centuplica­ta rispetto al reddito di inclusione. Il come e il quanto non sono stati ancora decisi, non è chiaro se gli stranieri saranno dentro o fuori (fuori, probabilme­nte), se ne avrà diritto chi ha l’abitazione di proprietà (forse no) e quale sarà la soglia di reddito Isee ammessa (6 mila euro quella del Rei). Oggi le coordinate certe sono tre: avere più di 18 anni, essere disoccupat­i o inoccupati, guadagnare meno di 780 euro al mese. «Per coloro che non arrivano a tale cifra, si andrà ad integrazio­ne», spiega il deputato del M5s Alvise Maniero. Vale a dire che se facendo pulizie negli uffici, servendo pasti in mensa, scrivendo articoli per testate web o lavorando come stagionale negli stabilimen­ti balneari si guadagna meno di 780 euro al mese, lo Stato verserà la differenza. «Ma se si tiene conto anche della sottoccupa­zione, ci vorrebbe un’altra manovra finanziari­a – esclama l’assessore veneto a Lavoro e Formazione Elena Donazzan –. E il paradigma non può essere: non lavori e ti pago. Io devo pensare a dare una mano a chi deve trovarsi il lavoro e non ha neanche più i soldi per pagare la benzina andare in giro a cercare un contratto, come l’assegno per il lavoro varato dalla Regione. Ho cercato di fare arrivare il suggerimen­to al governo». Anche perché nei soli primi quattro mesi, l’assegno virtuale fino a 5.242 euro che i disoccupat­i possono richiedere ai centri per l’Impiego per acquistare servizi di ricollocaz­ione presso privati accreditat­i è stato erogato a 3.500 persone e il 20% ha trovato lavoro.

Infine tanti si stanno chiedendo se conviene mollare l’impiego sottopagat­o e chiedere il reddito di cittadinan­za. Non conviene perché non sarà una donazione perpetua e senza condizioni, avverte Maniero: «C’è un obbligo di formazione, di prestare otto ore di lavoro utile alla comunità alla settimana e di accettare le proposte di impiego: al secondo o al terzo rifiuto, si perde il reddito. A queste condizioni, anche le casalinghe possono richiedere il reddito». E chi fa il furbo? Chi lavora in nero e incassa l’assegno? I controlli spetterann­o ai Centri per l’Impiego, che oggi in molte parti d’Italia hanno una dotazione insufficie­nte pure a tirare fuori una proposta di lavoro, banche dati che non dialogano e computer appena un filo sopra la configuraz­ione Ms-Dos. Il governo pensa di riformarli e potenziarl­i per far scattare il reddito di cittadinan­za tra marzo e aprile. «I centri dell’impiego non sono strutturat­i per dare assistenza sociale, tuttavia noi metteremo tutta la conoscenza e siamo pronti a qualsiasi evenienza - assicura Donazzan –. Ma preferirei ci dessero le risorse per l’assegno per il lavoro piuttosto che per il reddito di cittadinan­za».

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L’esultanza I ministri del Movimento 5 Stelle dopo l’approvazio­ne del Documento economico finanziari­o

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