A quanti veneti spetta il reddito di cittadinanza
Disoccupati, precari o sottopagati: almeno seicentomila ci sperano Decisive le clausole
Una manina assistenzialista per il Sud che non ha voglia di lavorare. Alzi la mano chi in Veneto non ha fatto scattare, pavloviana, la riflessione sul reddito di cittadinanza che il governo gialloverde si appresta a varare con la prossima legge di bilancio. La notizia è che la manina assistenzialista potrebbe interessare qualcosa come 600mila veneti (il range va da 580mila a 650mila), cento volte tanto rispetto ai 6.500 che oggi hanno accesso al reddito di inclusione.
Al dato ci si arriva per due strade. Una, per così dire, di ritualità statistica. «La manovra prevede di erogare la misura a 6,5 milioni di italiani in povertà assoluta o relativa e il Veneto rappresenta statisticamente sempre l’8-10% della realtà nazionale», spiega Tiziano Barone, direttore di Veneto Lavoro. L’altra strada, pure statistica, prende come riferimento i dati dell’ultimo rapporto di settembre di Veneto Lavoro, la «Bussola», che dà l’indicazione numerica sulla platea potenzialmente interessata all’assegno. Innanzitutto i disoccupati: sono 292mila, di questi 77 mila stranieri; il 60% ha percepito la Naspi o altre forme di sostegno al reddito; poi ci sono 135mila in cerca di occupazione e 2.556 inattivi. E siccome qui si ha sempre voglia di lavorare ma riuscire a guadagnare è un’altra storia, c’è pure la platea del precariato: 121mila contratti part time che vanno da un giorno a 6 mesi, 59mila di lavoro somministrato, 20.700 per il lavoro intermittente, 7.200 per quello domestico, 3.200 attivazioni di lavoro accessorio: il totale fa 582 mila tra contratti a bassa intensità e basso reddito, i 600 mila di cui sopra, quindi. Secondo l’annuario statistico della Regione, i residenti in gravi difficoltà economiche sono 877mila e quindi la misura non andrebbe a incrementare le entrate di tutti i poveri. Ma darà assegni ad una platea centuplicata rispetto al reddito di inclusione. Il come e il quanto non sono stati ancora decisi, non è chiaro se gli stranieri saranno dentro o fuori (fuori, probabilmente), se ne avrà diritto chi ha l’abitazione di proprietà (forse no) e quale sarà la soglia di reddito Isee ammessa (6 mila euro quella del Rei). Oggi le coordinate certe sono tre: avere più di 18 anni, essere disoccupati o inoccupati, guadagnare meno di 780 euro al mese. «Per coloro che non arrivano a tale cifra, si andrà ad integrazione», spiega il deputato del M5s Alvise Maniero. Vale a dire che se facendo pulizie negli uffici, servendo pasti in mensa, scrivendo articoli per testate web o lavorando come stagionale negli stabilimenti balneari si guadagna meno di 780 euro al mese, lo Stato verserà la differenza. «Ma se si tiene conto anche della sottoccupazione, ci vorrebbe un’altra manovra finanziaria – esclama l’assessore veneto a Lavoro e Formazione Elena Donazzan –. E il paradigma non può essere: non lavori e ti pago. Io devo pensare a dare una mano a chi deve trovarsi il lavoro e non ha neanche più i soldi per pagare la benzina andare in giro a cercare un contratto, come l’assegno per il lavoro varato dalla Regione. Ho cercato di fare arrivare il suggerimento al governo». Anche perché nei soli primi quattro mesi, l’assegno virtuale fino a 5.242 euro che i disoccupati possono richiedere ai centri per l’Impiego per acquistare servizi di ricollocazione presso privati accreditati è stato erogato a 3.500 persone e il 20% ha trovato lavoro.
Infine tanti si stanno chiedendo se conviene mollare l’impiego sottopagato e chiedere il reddito di cittadinanza. Non conviene perché non sarà una donazione perpetua e senza condizioni, avverte Maniero: «C’è un obbligo di formazione, di prestare otto ore di lavoro utile alla comunità alla settimana e di accettare le proposte di impiego: al secondo o al terzo rifiuto, si perde il reddito. A queste condizioni, anche le casalinghe possono richiedere il reddito». E chi fa il furbo? Chi lavora in nero e incassa l’assegno? I controlli spetteranno ai Centri per l’Impiego, che oggi in molte parti d’Italia hanno una dotazione insufficiente pure a tirare fuori una proposta di lavoro, banche dati che non dialogano e computer appena un filo sopra la configurazione Ms-Dos. Il governo pensa di riformarli e potenziarli per far scattare il reddito di cittadinanza tra marzo e aprile. «I centri dell’impiego non sono strutturati per dare assistenza sociale, tuttavia noi metteremo tutta la conoscenza e siamo pronti a qualsiasi evenienza - assicura Donazzan –. Ma preferirei ci dessero le risorse per l’assegno per il lavoro piuttosto che per il reddito di cittadinanza».