Rana: «Altro che cervelli in fuga all’estero Con i miei trentenni ho conquistato gli Usa»
La ricetta vera di un successo: «La politica provi ad ascoltare gli imprenditori»
«Se magari provasse ad ascoltarli, una volta tanto, gli imprenditori, chi è lì da dieci minuti. Alla fine hanno bisogno solo che li lascino lavorare». I falsi miti della delocalizzazione selvaggia e della fuga dei cervelli all’estero, di cui si è impossessata la politica. Smontati con calma olimpica da chi, con i fatti, da San Giovanni Lupatoto, un tortellino dopo l’altro, si è ritrovato a conquistare gli Stati Uniti. Gianluca Rana (nella foto), il figlio di Giovanni, ex presidente di Confindustria Verona che da tempo ha nelle mani il destino dell’industria alimentare di famiglia, alla fine è giocando su questi tasti che ha conquistato i colleghi in platea, ieri all’assemblea di Confindustria Vicenza. Raccontando la storia di un successo in cui adesso, a cose fatte, pare tutto ovvio; ma che invece così non è. E dove in Italia il vero sogno, più che tante ricette miracolose, sarebbe di veder sgombrare il campo da tanti ostacoli.
Sul palco del dibattito, a Rana chiedono cosa si aspetti per i giovani, visto che la manovra del governo pare più orientata a chi non lavora: «Meglio non lasciare la politica a far da sola. La verità resta che la base è lo sviluppo, la creazione di valore». E poi tira fuori la vicenda della sua azienda, in un parallelo continuo tra Stati Uniti e Italia: «Ho passato metà del mio tempo negli Usa negli ultimi cinque anni, dove l’azienda è raddoppiata. Ma di certo non è con la ricetta di un ottantenne che parla rigidamente in dialetto veronese - dice con ironia richiamando gli spot del padre - che conquisti gli Usa con un prodotto italiano di super-nicchia. Quando siamo partiti mi sono portato dietro un gruppo di giovani sotto i trent’anni. Quando sento parlare della fuga dei cervelli rido pensando a loro: sono integrati, hanno fatto carriera, da San Giovanni Lupatoto sono finiti a Chicago, sono cittadini di questo mondo globale nel senso migliore. Solo che lì il grande facilitatore è che hai la possibilità di costruire quello che vuoi».
Ovvio confrontare l’esperienza degli ampliamenti di là e di qua dell’oceano: «Dopo due anni a Chicago ci siamo dovuti ampliare. Sono andato dal sindaco e mi ha detto di portare i piani per quello di cui avevo bisogno che dopo un mese avrei avuto i permessi. A San Giovanni ci sono voluti sette anni. E l’ultima volta il sindaco me ne ha prospettati tre. Ho fatto prima ad acquistare a Cuneo lo stabilimento venduto da una multinazionale. Va benissimo: ma così ho perso la possibilità di restituire ai miei concittadini che mi hanno fatto crescere». E adesso? «Vedo il mio Paese far fatica. E quando negli Usa mi chiedono come va in Italia, rispondo: lavoriamo tanto. Può spaventarci la situazione di oggi, dopo aver passato la crisi Lehman e aver visto crollare le banche? No. Se solo ci lasciassero lavorare...».