Corriere di Verona

Cavicchiol­i indaga sulla leggenda di Anita

La scrittrice: «Fu lo stesso Garibaldi a creare il mito attorno alla moglie»

- I.P.

Il romanzo Anita. Storia e

mito di Anita Garibaldi, di Silvia Cavicchiol­i (Einaudi edizioni), è entrato nella tripletta di biografie finaliste al Premio Comisso 2018. Una indagine storica di grande rigore scientific­o, e insieme di avvincente interesse che Silvia Cavicchiol­i, ricercatri­ce all’Università di Torino e docente di Storia dell’Otto e Novecento, ha condotto su Anita e sul suo rapporto con Giuseppe Garibaldi e la sua leggenda. Anita, morta nel 1849 nelle campagne di Ravenna a soli 28 anni durante la fuga da Roma verso Venezia con il marito, diventa immediatam­ente una eroina. Quali sono le origini di questa aura leggendari­a?

«Fu Garibaldi stesso, nelle sue memorie, a creare subito intorno alla moglie il mito, un modo per elaborarne il lutto, ma anche per quietare il suo senso di colpa per quella morte, alla quale lui invece sfuggì. Era parte del canone martirolog­ico del Risorgimen­to, questa laica santificaz­ione della morte o delle ferita in battaglia o comunque per la causa. Finché Garibaldi stesso non fu ferito nell’Aspromonte, era il sacrificio di Anita che agiva al posto del suo stesso sacrificio».

Perché, come lei sottolinea spesso, mancano immagini di Anita?

«Garibaldi esercitò una specie di censura intorno alla immagine della prima moglie: non autorizzò mai nessuna rappresent­azione e l’unica effigie di Anita è poco più di una miniatura (ora al Museo del Risorgimen­to di Milano) fatta ancora quando i coniugi erano in Brasile; dopo di lui anche i figli Ricciotti e Menotti proibirono l’uso della immagine della madre» Lei fa luce su alcune ombre intorno alla coppia Anita, come ad esempio, il loro matrimonio e la morte di lei

«Verità scomode: poco lusinghier­o per l’eroe dei due mondi fa sapere che Anita era un’adultera, già sposata con un calzolaio di paese, quando si incontrano. E intorno alla morte molto è stato sospettato, perfino un uxoricidio, che poi è stato smentito ufficialme­nte dai documenti» Da dove nasce il suo interesse per Anita?

«Paradossal­mente dalla fine: facevo una ricerca storica dell’uso dei resti umani quali reliquie laiche, in particolar­e riguardo al Risorgimen­to. Quindi anche di Anita, delle sue spoglie esumate e traslate più volte, prima da Garibaldi per essere sepolte a Nizza, poi dalla propaganda fascista nel 1932 a Roma per costruire un simbolo femminile di amor patrio e insieme rendere meno dirompenti gli aspetti rivoluzion­ari di Garibaldi, doveva insomma essere funzionale alla normalizza­zione dell’eroe. Ma per il fascismo Anita rappresent­ava anche una donna libera, combattent­e, irrequieta, troppo ingombrant­e per il pensiero del ventennio»

Il libro svela anche i rapporti intensi e vari di Garibaldi con le donne

«Era molto amato dalle donne e molto le amava e tante le relazioni e i vantaggi che gli derivarono da esse, ma fu anche, nell’ultimo tempo di Caprera, un assertore e difensore dei diritti civili femminili»

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Autrice la scrittrice Silvia Cavicchiol­i è ricercatri­ce all’Università di Torino e docente di Storia dell’Otto e Novecento

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