Tra cavalli e catene di montaggio «Lavorare dà dignità ai detenuti»
Il carcere offre chance di reinserimento. Bregoli: no ai pregiudizi
L’ultima cosa che ci si aspetterebbe di trovare in carcere è un gregge di pecore. Eppure non è così raro che accada nella casa circondariale di Montorio, dove gli animali sono impiegati per la pet therapy. «Ci sono anche cani, cavalli e conigli – ha spiegato l’assistente della polizia penitenziaria che ha fatto da guida ai 92 veronesi che hanno aderito all’iniziativa «Domenica: carceri porte aperte» - occuparsi degli animali aiuta a sedare l’aggressività, ad affrontare la disintossicazione da stupefacenti e a instaurare nuovi legami affettivi». I detenuti si occupano degli animali a turno, dedicando loro circa 5 ore diurne oltre le due ore d’aria. E il resto del tempo studiano in una delle 11 aule adibite alla formazione, leggono in biblioteca, partecipano a corsi sportivi o d’arte, guardano film nella sala cinema, lavorano e pregano. «Ci sono tre locali di culto, per soddisfare la fede di 40 nazionalità differenti- ha spiegato Fra Beppe Prioli dell’Associazione “La Fraternità”, che da 50 anni partecipa attivamente alla vita dei carceri italiani – Non voglio convincere nessuno a credere in quello in cui credo io: sono qui ogni giorno solo per ascoltare e accogliere». Quella che si apre dietro le sbarre di via San Michele 15 è città in miniatura di 50.000 mq, dove l’assenza della libertà individuale è compensata da un ricco ventaglio di spunti, stimoli scolastici e proposte lavorative. Dei 420 detenuti totali (di cui 370 uomini e 50 donne), in 75 lavorano per l’amministrazione penitenziaria, occupandosi delle pulizie, della cucina, del sopravvitto e della manutenzione del fabbricato, mentre altre 67 sono assunte con contratti regolari a tempo determinato o indeterminato (dove per indeterminato, in questo caso, s’intende fino a fine pena) per conto terzi.
«Lavorare dà dignità – ha proseguito l’agente – la maggior parte delle persone che entrano in carcere non ha mai lavorato, quindi è indispensabile l’alfabetizzazione per chi non conosce la lingua, la scolarizzazione per chi vuole intraprendere o concludere un percorso di studi e la formazione professionale, in vista di un reinserimento della società». Se la cooperativa sociale Riscatto dà il nome a una linea di pelletteria made in carcere in vendita nella boutique Cordovano del centro, non è da meno il Progetto Quid che conta un laboratorio sartoriale nella sezione femminile e uno in quella maschile.
«Abbiamo deciso di lavorare in carcere dopo aver conosciuto il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Margherita Forestan – ha raccontato Federica Collato, cofondatrice di Reverse, impresa sociale di falegnameria ecosostenibile – Grazie alla legge Smuraglia godiamo di sgravi fiscali per ogni contratto, ma a noi non basta: abbiamo appena chiuso un accordo con la Cisl nazionale per garantire maggiore qualità al lavoro dei detenuti». Uno spazio della casa penitenziaria è dedicato alle catene di montaggio della srl «Lavoro & futuro» che prende in appalto commesse industriali e artigianali di costruzione e assemblaggio. «Profumi, bollini dei supermercati, interruttori, timer per forni, carrelli d’uso agricolo: da noi passano le più svariate tipologie di prodotto» ha illustrato il socio Giovanni Lugoboni . «Il carcere fa parte della società– ha concluso la direttrice Maria Grazia Bregoli – La comunità deve entrarvi per superare i pregiudizi. A giudicare ci pensa la magistratura, a noi compete solo il rispetto».