Giacino e Lodi, aggravate le pene per concussione
Conto aggravato in appello per la mega tangente promessa da Leardini
Per l’ex vicesindaco, 4 anni. Per la moglie, 3 anni e 4 mesi. Dal nuovo processo d’appello Vito Giacino e Alessandra Lodi escono con un aggravamento di pena per la tangente dal costruttore Leardini.
Per lui, 4 anni di reclusione. Per la moglie, 3 anni e 4 mesi. Vito Giacino e Alessandra Lodi hanno preferito attendere il verdetto a Verona. Ieri pomeriggio, però, il processo d’appello «bis» che si è celebrato a Venezia non ha riservato alla coppia buone notizie. Il nuovo giudizio di secondo grado, la cui celebrazione era stata disposta nel giugno 2017 dalla Cassazione, è infatti sfociato per entrambi in un aggravamento delle pene inflitte loro nel 2016.
Il reato di cui sono stati ritenuti responsabili è rimasto inalterato, cioè «concussione per induzione», ma mentre il primo processo d’appello aveva condannato l’ex vicesindaco con delega all’Urbanistica a un totale di 3 anni e 4 mesi di reclusione (2 anni e 4 mesi, invece, la pena decretata in quella circostanza per la consorte), ieri per il politico il «conto» è salito di otto mesi, raggiungendo quota 4 anni totali, e per la Lodi la pena è aumentata di 12 mesi esatti, attestandosi a un computo complessivo pari a 3 anni e 4 mesi. Nessuno dei due, comunque, rischia di dover scontare la pena in carcere.
A conti fatti, il verdetto del nuovo giudizio d’appello coincide in toto con la maggiorazione di pena che era stata sollecitata dalla procura generale di Venezia nel corso della requisitoria pronunciata ieri in avvio di udienza. Dai difensori Apollinare Nicodemo e Filippo Vicentini,nelle arringhe si era invece insistito per la conferma delle pene stabilite nel primo processo d’appello. Ma la Corte, anziché lasciare le precedenti condanne inalterate, nel pomeriggio ha deciso di aumentarle così come chiesto sia dal Pg che, nel 2017, dalla stessa Cassazione. Tecnicamente, nel giugno dello scorso anno, gli Ermellini avevano decretato un «annullamento con rinvio», ordinando la riproposizione nei confronti della coppia di un secondo giudizio d’appello ma solo per difendersi dalle imputazioni «connesse - recitava il dispositivo della Cassazione - alla promessa (da parte del costruttore Alessandro Leardini, parte civile nel processo con il legale Nicola Avanzi, ndr) nel 2011 di euro un milione 270mila e alla dazione di euro 100 mila euro nello stesso anno». Mazzette correlate all’approvazione della Variante al Piano degli Interventi: la Suprema Corte, nell’ordinare un processo d’appello «bis», aveva «in parte accolto il ricorso dell’allora Pg Condorelli: in secondo grado, su tali due circostanze, gli imputati erano in precedenza stati assolti perché, stando alle motivazioni, «l’accusa non ha prodotto riscontri delle avvenute dazioni in denaro». Di tutt’altro avviso la Cassazione, secondo cui andava ricelebrato il secondo grado in merito alla «promessa» di una maxi tangente di oltre un milione di euro a un incontro tra Giacino e Leardini avvenuto a Milano nel 2011 e riguardo alla conseguente «dazione di centomila euro».
Tale riferimento, in base alla ricostruzione effettuata dal pm Zanotti, andava ricondotto al fatto che «l’ex vicesindaco si era fatto promettere, a fronte del suo interessamento per rendere edificabili tutti i lotti di proprietà di Leardini, e per non ostacolare l’iter, il pagamento di 1.270.000 euro». Di questa cifra, nei fatti, il costruttore avrebbe poi versato alla coppia 100mila euro: una doppia accusa di cui Giacino e Lodi erano stati decretati «responsabili» dal gup Franciosi in primo grado, ma che li aveva poi visti assolvere «per carenza di riscontri» nel primo giudizio d’appello. Ieri, invece, l’aggravamento di pena.