La scuola distrutta del Vajont rinasce per la seconda volta
Ampliato l’istituto di Longarone. Una storia di successo
«Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua, e l’acqua è caduta sulla tovaglia. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri, il sasso era grande come una montagna e sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane». Era l’11 ottobre 1963 quando Dino Buzzati, sul Corriere della Sera, raccontava così l’olocausto di una popolazione spazzata via dalla maledetta ondata tracimata dal bacino del Vajont, alle 22.39 di due giorni prima. Davanti a quella spianata di ghiaia inzuppata di morte, là dove prima sorgeva la «piccola Milano» delle Prealpi venete, sembrava tutto finito. Longarone non esisteva più. Polverizzata, e con lei oltre 1.900 vite umane.
Tra le vittime c’erano 110 ragazzi e i loro professori, il cuore della scuola di avviamento professionale attiva dalla fine degli anni ’40, e che aveva cominciato a sfornare edili, falegnami e carpentieri. Ossia le figure professionali che costituivano l’humus del boom economico dopo le distruzioni della Seconda Guerra Mondiale. Tutto spazzato via. Tranne un piccolo gruppo, tre insegnanti e dieci studenti, da cui ripartì tutto. In un edificio diroccato di Castellavazzo. Tra loro c’era anche il docente Zatta Rizzieri. «Eravamo senza luce, acqua, riscaldamento, e con qualche macchinario ottenuto in prestito», ha ricordato. Forse pochi avrebbero immaginato che da quelle quattro mura sarebbe nata una scuola d’eccellenza. Oggi è una delle 20 sedi venete dell’Enaip e ha già sfornato qualcosa come 80 mila professionisti. Il contributo fondamentale alla ripartenza provenne da una raccolta di fondi avviata, dopo la sciagura, dal Corriere della Sera, i cui lettori si mobilitarono in massa fino a racimolare 1 miliardo e mezzo di lire (dell’epoca) utilizzati fino all’ultimo spicciolo per ricostruire l’istituto. L’apertura avvenne nell’ottobre del 1968. Cinquant’anni fa. E ieri, per celebrare l’anniversario (ricordato da una targa affissa all’ingresso) l’Enaip di Longarone ha inaugurato la nuova Scuola Professionale. Un complesso costato due milioni di euro, destinati soprattutto a due settori: agroalimentare e meccatronico. Ambiti professionali nei quali l’approdo nel mondo del lavoro è quasi matematico: «Stiamo parlando del 100% nella ristorazione e di oltre l’80 nella meccatronica», ha puntualizzato l’amministratore delegato di Enaip Veneto, Giorgio Sbrissa. Che ha lanciato la prossima sfida: creare, a Longarone, la Scuola Europea del Gelato. «Abbiamo il dovere di valorizzare la nostra artigianalità, le nostre eccellenze», ha dichiarato Sbrissa, trovando il sostegno di Longarone Fiere.
Il taglio del nastro è stato una festa, un viaggio nel tempo alimentato dalle testimonianze di chi, da quella scuola, ha costruito un’azienda, una carriera. Una vita. Andrea Citron, presidente delle Acli del Veneto (che diede vita al primo nucleo dell’istituto), ha sottolineato un elemento chiave: «Dobbiamo
Ristorazione, meccatronica E il prossimo obiettivo è la nascita della Scuola Europea del Gelato
formare giovani che contribuiscano allo sviluppo di questo territorio. Che siano felici di vivere nel loro paese, in queste valli». Già, la felicità. E l’entusiasmo. Di chi, come Giorgio Carraro, titolare del gruppo di concessionarie, ha ripercorso 50 anni di una storia aziendale cominciata in una piccola officina di Zoldo. O degli atleti (ed ex allievi) Gabriele De Nard e Manuel Cominotto con il loro sprone a sacrificarsi per raggiungere gli obiettivi della vita. Oppure ancora di Leonardo Di Carlo, l’«alchimista della pasticceria»: «Il segreto? Impegno, passione e perseveranza». E la Scuola Professionale di Longarone, sorta sulle macerie lasciate dal Vajont, può essere il propulsore. «Fu il prodotto di una classe dirigente che seppe avere una visione, una progettualità», ha sottolineato il direttore del Corriere del Veneto, Alessandro Russello. «Il Vajont fu la prima tragedia che rese consapevole l’Italia di quanto grandi possano essere gli errori dell’uomo - ha spiegato Russello -. E la solidarietà dei lettori del Corriere rappresentò un segnale di speranza».