Corriere di Verona

«ALLENAMENT­I IN BRA, IL ‘68 E UNA VITA PER IL RUGBY»

La prima partita di rugby giocata al Boschetto: «Metete lì, urta e tasi». Poi l’allenament­o in piazza Bra per chiedere un campo e i volantini in bianco «Giochiamo con l’avversario, mai contro»

- di Lorenzo Fabiano

Il mondo di Danilo Zantedesch­i ha la forma di una palla ovale. Il 13 maggio si è realizzato un sogno cullato da 50 anni: la salita del Verona ai piani nobili del rugby italiano. «La nostra missione è trasmetter­e la cultura dello sport attraverso i suoi valori».

«Tipi veronesi» - la proposta domenicale del Corriere di Verona -intende raccontare, attraverso la storia di personaggi più o meno famosi, l’evolversi della nostra città.

Uno sguardo al passato rivolto al futuro affidato alla penna del nostro collaborat­ore Lorenzo Fabiano. Per eventuali segnalazio­ni potete scrivere una mail a corrieredi­verona@rcs.it oppure a lorenzo.fabiano@me.com

Non riusciva nascondere l’emozione Danilo Zantedesch­i lo scorso 13 maggio, giorno della salita di Verona nei piani nobili del rugby italiano. Un sogno che Danilo, dal 1990 presidente del Cus nonché figura di riferiment­o della palla ovale in riva all’Adige, ha atteso per oltre cinquant’anni.

Nato a Negrar nel 1943, come ricorda lui stesso il suo incipit sui libri di scuola non è certo da studente modello: «Abitavamo in Lungadige Campagnola. Sono cresciuto tirando calci al pallone nella vasca dell’Arsenale. Al liceo scientific­o dopo quattro anni ero ancora in seconda. Non faceva per me. Passai allora all’Istituto geometri e mi diplomai recuperand­o un anno. Procedendo ad esclusione, scelsi poi la Facoltà di Economia e Commercio. Mio padre mi concesse un solo anno fuori corso, diversamen­te mi sarei dovuto pagare gli studi: non ce ne fu bisogno, mi laureai in cinque anni nel 1969 con tanto di leva militare in artiglieri­a di montagna. Avevo messo la testa a posto, ma lo spirito goliardico non venne mai meno».

È proprio all’università che incrocia il rugby: «Mi invitarono a giocare al Boschetto. Mi presentai e mi assegnaron­o il ruolo di pilone. Io manco sapevo cosa fosse: «Metete lì, urta e tasi», mi dissero. Così cominciai a giocare e il rugby divenne la mia vita. Nella seconda metà degli anni Sessanta non avevamo nemmeno un campo nostro. Per reclamare una fetta di dignità ci allenammo per protesta in piazza Bra e andammo poi ad occupare il vecchio Bentegodi. Cambiammo le serrature e dormimmo accampati nelle tende: per imitare i lord inglesi nella caccia alla volpe, inseguivam­o i conigli dei custodi. Poi finalmente il Gavagnin divenne la nostra casa».

Tuttavia le manifestaz­ioni di protesta non finiscono qui. L’obiettivo è ora la caserma Passalacqu­a: «Chiedevamo spazi per l’università, che immaginava­mo come un campus. Proteste, manifestaz­ioni, scritte sui muri come ad esempio la seguente: «L’università piena, ha bisogno di quella caserma vuota». Sapevamo che la questura ci teneva sott’occhio. Allora un giorno inscenammo la distribuzi­one di volantini in bianco, una classica goliardata: “Così potete prendere appunti” dicemmo».

Non solo provocazio­ni: «Nel 1966 vincemmo il premio Don Bassi della Bontà. Eravamo stati nel bellunese a Cencenighe a spalare il fango causato dall’alluvione del Biois e del Cordevole. Ricordo fango, silenzio, e la dignità della gente che mai emise un solo lamento. La cerimonia della consegna del premio si tenne a Verona al Due Torri. Ho ancora qualpadre che cucchiaino d’argento. Diciamo, che ce ne tornammo a casa con qualche bel ricordino».

È il 1968, l’anno della contestazi­one, di tensioni e scontri nelle università. C’è anche Danilo, ma non indossa eskimo e sciarpone rosso: «Se da piccolo già stavo dalla parte degli indiani, in Vietnam parteggiav­o per i Vietcong. Essere in minoranza era il mio destino: non a caso lo sport che ho scelto è il rugby. Altrimenti avrei giocato a calcio come facevano tutti. Ho fatto politica con il Msi nella destra sociale, ed è una delusione atroce per chi ci ha creduto vedere che fine ha fatto quell’esperienza. Mio mi aveva avvertito: “Fai casino per nulla, caro mio. Tanto moriremo tutti democristi­ani“. Impossibil­e dargli torto».

Nel 1983 Danilo, che dopo aver fatto l’insegnante di matematica svolge attività di commercial­ista, entra nel direttivo del Cus e nel 1990 ne assume la presidenza. Rugby, cricket, baseball, basket, pallamano (il titolo italiano nel 1972, primo scudetto per Verona città).

Nel 1990 il Coni conferisce al Cus Verona la medaglia d’argento per meriti sportivi. Sorgono impianti: oltre al Gavagnin, il campo di pallamano al Coni, la palestra alla Facoltà di Scienze Motorie, la pista da hockey al Santini, i campi da rugby di Parona.

Il 2016 è l’anno del passaggio di consegne dal Cus al neonato Verona Rugby: «Per il bene del movimento, abbiamo rinunciato a un pezzo della nostra storia. Il rugby non ha padroni, è di chi lo ama e lo pratica. A Verona c’è un progetto fantastico, un modello per l’Italia della palla ovale. Credo che nel giro di qualche anno si possa arrivare allo scudetto».

Sposato, due figlie, Danilo Zantedesch­i lo trovi sempre lì alla sua scrivania all’interno del fortino austriaco adiacente il Polo Zanotto: «A casa si lamentano che ci sono poco, ma hanno capito che la mia vita è qui. La nostra missione è trasmetter­e la cultura dello sport attraverso i suoi valori - spiega - Giochiamo con l’avversario, mai contro. Cresciamo uomini, non campioni».

La scelta di vita Se da piccolo già stavo dalla parte degli indiani, in Vietnam parteggiav­o per i Vietcong. Essere in minoranza era il mio destino

 ??  ?? Presidente Danilo Zantedesch­i, dal 1990 alla guida del Cus, è la figura di riferiment­o della palla ovale in riva all’Adige. Nella foto piccola, degli anni Sessanta, è il primo giocatore a destra, in piedi
Presidente Danilo Zantedesch­i, dal 1990 alla guida del Cus, è la figura di riferiment­o della palla ovale in riva all’Adige. Nella foto piccola, degli anni Sessanta, è il primo giocatore a destra, in piedi

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