Safilo, sì all’aumento di capitale tra la rabbia dei piccoli soci
In assemblea ok anche dai Tabacchi e dai fondi. Esecuzione entro dicembre
Safilo, l’assemblea dei MILANO soci approva l’aumento di capitale da 150 milioni. Che, secondo quanto dichiarato ieri, sarà completato entro il 20 dicembre, di fatto per ripagare il bond da 150 milioni in scadenza nel 2019 e blindare l’accordo, firmato venerdì con le banche, che rifinanzia i 150 milioni di prestiti.
La manovra per garantire la tenuta finanziaria del produttore veneto di occhiali e mettere a disposizione le risorse per eseguire il nuovo piano industriale ha incassato ieri a Milano il sì del 98,9% del capitale presente (il 68% del totale). Tra questi, oltre all’azionista di riferimento Hal-Multibrands, che ha il 41%, anche quello della Only 3t della famiglia Tabacchi, che vale il 7,7% e che aveva nelle ultime assemblee tenuto una linea molto dura («Ma l’aver indicato da parte di Mutibrands il prezzo d’esecuzione a 1,5 euro - ha detto in assemblea il rappresentante della famiglia- a cui ora tende il valore di mercato ci danneggia») e quello della quasi totalità dei fondi presenti, pari al 18,3% del capitale.
In compenso ha provocato la rivolta dei piccoli azionisti, che rischiano ora una pesante diluizione se non seguiranno l’aumento, dopo una stagione nera nelle mani del fondo olandese Hal: Safilo vale in Borsa 106 milioni, la metà dei 313 di capitale sociale, mentre in 5 anni sono stati bruciati 680 milioni di valore.
Intanto la presentazione del piano risparmi entro il piano industriale, comprensivi degli effetti sul personale negli stabilimenti, viene spostato alla primavera del 2019. L’amministratore delegato di Safilo, Angelo Trocchia, si prende altri sei mesi per avere i dati di fine 2018 e vedere quali risultati produrrà il cambio dei manager alla guida dei principali mercati di sbocco - dal Nord America, da sola il 30% dei ricavi, al Sud America alla Cina - e l’inserimento di quelli che dovranno rafforzare il peso del digitale. E se andrà avanti il buon momento degli ordini, che sta facendo lavorare lo stabilimento di Longarone al sabato.
«Stiamo investendo su Longarone. E sul mercato italiano andiamo bene - commenta alla fine Trocchia -. Stiamo guardando con responsabilità alla struttura e facendo attenzione ai costi ha aggiunto - Ma ora è fondamentale tornare a crescere, centrando il +2-4% fissato dal piano industriale , recuperando presa sui mercati. Crescere è la priorità che ci fa uscire dal loop. I tagli non bastano».
Il manager alla fine è soddisfatto del risultato: «Guardiamo una volta tanto al bicchiere mezzo pieno. L’approvazione dell’aumento di capitale è un atto di fiducia al piano industriale dell’azionista principale Hal, degli altri e dei fondi. Ma anche delle banche, dopo un lavoro di condivisione di tre mesi, che altrimenti non avrebbero confermato i finanziamenti».
Ma le due ore di assemblea dei soci di Safilo, ieri mattina alla Borsa di Milano, sono state tutt’altro che una passeggiata. L’assise è preceduta dal comunicato della chiusura dell’accordo con Imi, Unicredit e Bnp Paribas che rifinanziano i 150 milioni di debito bancario. Saranno divisi in due linee in scadenza il 30 giugno 2023, mentre vengono annullate le verifiche sul rispetto dei parametri di andamento. Il tutto però «a condizione che l’aumento di capitale venga approvato dall’assemblea». Come dire che il via libera è obbligato.
Non basta per placare la rabbia dei piccoli soci. «In bocca al lupo a Trocchia, dopo una gestione di persone incompetenti. Tutte ancora là mentre il mercato non dà fiducia», ha sostenuto Walter Darin Pagnetto. «Sono frastornato. Le vere vittime di questa perdurante cattiva gestione sono i piccoli azionisti - ha aggiunto Andrea Maramotti -. La situazione debitoria è normale, ma proponete un aumento di capitale-monstre, premeditato per dare il colpo di grazia al titolo e dar modo al maggior azionista di aumentare agevolmente la quota senza lanciare un’Opa e pagare il premio di maggioranza». Maramotti ha poi citato la diluizione dei soci e la disponibilità di Hal di acquisire tutto l’inoptato «fissando con largo anticipo il prezzo massimo di 1,5 euro», che «ha alimentato la speculazione»; e ha poi censurato la commissione del 2% riconosciuta a Multibrands-Hal, quasi 2 milioni di euro, per la sottoscrizione dell’inoptato. Tema tornato in altri interventi: «Che senso ha pagare al nostro azionista di riferimento una commissione del 2%? E lo paghiamo su cosa? - ha aggiunto Carlo Maria Braghero -. E la cancellazione del valore nominale a che serve se non a permettere al socio di riferimento di lanciare un’Opa di fatto ad un prezzo vile?».
Insomma, per i soci di minoranza dietro l’aumento ci sarebbe il disegno di favorire la presa su Safilo di Hal a prezzi di saldo. Tesi rigettata dall’avvocato Francesco Gianni, dello studio legale Gianni Origoni Grippo, a cui è stata affidata ieri la presidenza dell’assemblea. I motivi dietro le scelte contestate, sarebbero, per Gianni, ben più semplici e concrete: «L’eliminazione del valore nominale dell’azione a 5 euro è necessaria di fronte a un valore già sotto i 3 euro quando è stato lanciato l’aumento: altrimenti il mercato non risponderebbe. E le alternative all’aumento sono state studiate; ma la verità è che le condizioni economiche erano tutte più onerose. Compresa l’opzione di un consorzio di collocamento: era più caro e avrebbe allungato i tempi, lasciando comunque meno certezze rispetto alla rete di sicurezza stesa da Multibrands».