La luce di Venezia
Ciardi, Favretto, Milesi: i pittori dell’Ottocento a Palazzo Querini
Quella frenesia della mattina col viavai del mercato, i bambini che giocano sui masegni e i piccioni che frugano tra le casse abbandonate di un erbaiolo o fruttivendolo. Una giovane donna dai capelli fulvi attraversa con passo rapido il campo, i capelli scendono sul viso a coprire le guance, sottraendosi così agli sguardi della gente. Tutto è dinamico in quel Campo Santa Margherita (1884) di Ettore Tito, illuminato dal giorno appena iniziato nel sestiere veneziano di Dorsoduro, quello degli artisti, frequentato dallo stesso pittore che abitava poco distante.
La tela è l’emblema di una «Venezia in chiaro. Dialoghi e silenzi nella pittura tra Ottocento e Novecento», mostra che s’inaugura domani a Palazzo Querini a Venezia (in Calle Lunga San Barnaba), spazio un tempo sede dell’Università Ca’ Foscari, ora gestito dalla Fondazione Levi. la prestigiosa istituzione musicale ora sconfina nell’arte. In quel chiassoso campo pregno di eccezionale ordinarietà, Tito tratteggia una «tranche de vie» corale ritmata da un’alternanza di toni vivaci e smorzati che infondono alla scena un «movimento interno» anticipatore di certe avanguardie espressioniste europee.
Curata da Luisa Turchi e Stefano Cecchetto, aperta fino al 13 gennaio 2019, l’esposizione presenta oltre 70 opere, dedicata a quei pittori che a cavallo tra Otto e Novecento hanno saputo trasporre sulle tele una Venezia trasparente e autentica. L’inizio della rassegna è nel segno della frivolezza, esercitazioni neosettecentiste dal sapore goldoniano che si traducevano in spensierate tele in costume, come quelle di Vittorio Emanuele Bressanin. È l’elegante icona di un secolo la Dama veneziana del Settecento di Giacomo Favretto mentre il Pierrot nella Canzone della fonte di Emma Ciardi è in quel giardino metafora di spazio privilegiato tra sogno e realtà marchio di fabbrica della pittrice.
Il vedutismo parte dalle influenze canalettiane e presenta una Venezia da Grand Tour, magniloquente. Nitido il panorama di Rialto di Carlo Grubacs; a volo d’uccello la Riva
degli Schiavoni di Luigi Querena; ha un taglio moderno la
Piazza San Marco di Egisto Lancerotto; è caffiana la Notte al chiaro di luna a Venezia (1871) di Otto von Ruppert. Un giovane Guglielmo Ciardi in
Porta dell’Abbazia della Misericordia (1866) propone una tela a metà tra veduta e capriccio, con una porta che si apre già verso un altrove. Al luminismo avvolgente dei Ciardi, Gugliemo e i figli Beppe ed Emma, è dedicata una sala che è una mostra nella mostra. L’armonia del vero è nel Mattino in laguna (1875) e
Canale della Giudecca di Guglielmo; il mare è agitato, autunnale nella Spiaggia marina di Beppe; sono impressioni quelle di Emma che sia la
Regata o il Carnevale in Piazzetta. Entriamo nelle scene di genere. Giacomo Favretto, si diverte a suggerire gli amori libertini della nobildonna veneziana Cecilia Zen; amorevoli madri in Amore materno di Silvio Giulio Rotta e Mattino di Luigi Nono (1892) raccontano una maternità intima o en plein air; Alessandro Milesi ne El fio de me fio ci porta all’interno di una casa popolare, ma pur gioiosa, affetti sinceri dipinti con grande resa realistica dei dettagli.
Torniamo all’esterno, per le vedute liriche dell’Impressionismo veneto. Una Mazzorbo sciolta nei viola e nei verdi ancora di Milesi, i fiori di pesco di Giuseppe Miti Zanetti in
Primavera in laguna (1897), le Venezie elegiache di Pietro Fragiacomo. L’approdo è nella sublimazione del colore. Ne El Rio de San Barnaba
(1910) di Italico Brass, una luce violacea dal campanile di riflette nell’acqua; è simbolo di stanze interiori Il ponte
verde (1911 ca.) di Umberto Moggioli; corpi scolpiti e colori brillanti in Mare a Pellestrina» di Tito. La conclusione è affidata a una Laguna di Vettore Zanetti Zilla: «Qui il colore – marcano i curatori – si stempera in una visione filtrata. La pittura diventa non quello che vedi ma quello che senti, aprendo la via all’astrattismo».