Così Verona ha imparato a difendersi dal suo fiume
«Verona ha sempre convissuto con il suo fiume. E i veronesi hanno amato molto l’Adige. Ma lo hanno anche molto odiato». Angelo Bertolazzi, architetto-ingegnere e ricercatore all’Università di Padova e Silvino Salgaro, professore di geografia all’ateneo di Verona, il fiume che avviluppa la città soprattutto lo rispettano e lo studiano. Ne conoscono la storia. Ne hanno approfondito il «carattere». Quello di un corso d’acqua le cui piene, in passato, hanno ridisegnato il volto urbano ma anche sociale della città. «Ogni secolo l’Adige fa almeno una brutta piena», ricorda Bertolazzi. «E ogni anno sono almeno due i momenti critici: uno verso giugno e uno tra ottobre e novembre», spiega Salgaro. Fu nel 598, giustappunto in autunno, che il fiume inondò e sommerse la città. Racconta un graffito sulla facciata di Santo Stefano che lo fece ancora nel 1195, mentre la piena del 1239 compone un affresco a San Zeno. Non ha mai fatto dimenticare la sua potenza, all’Adige.
Rigurgitò nel 1512, nel 1568. E ancora nel 1838 e nel 1868. Ma fu l’alluvione del settembre 1882 a far girare la chiave di volta nel rapporto tra il fiume e la città. Raggiunge i 4,50 metri a ponte Pietra a una velocità di 20 chilometri orari. Spazzò via ponte Nuovo e ponte Aleardi, l’Adige. Si trascinò dietro una decina di abitazioni, la metà dei molini, tutti i laboratori e le botteghe nella zona dell’Isolo.
Quello che adesso da nome a una piazza ma che allora era una lingua di terra tra due braccia del corso d’acqua. Arrivò anche il Re Umberto I per vedere la «catastrofe». E il rapporto di Verona con il suo fiume cambiò.
«Anche allora - analizza Bertolazzi - c’era un vento caldo, come in questi giorni. Centotrentasei anni fa il fiume si caricò di acqua piovana e della neve sciolta, che era scesa precocemente in Trentino. Fino ad allora l’Adige era stato per la città anche una risorsa economica, ma con quell’inondazione cambiarono le cose. Ci si rese conto che non potevano esserci case a ridosso delle rive, elemento che si sapeva ma che era difficile da realizzare per le insistenze dei residenti. Vennero abbattute diverse abitazioni, si costruirono i muraglioni. E altre case vennero abbattute, nella zona tra San Giorgio e piazza Isolo anche dopo un’altra inondazione, quella del 1926». Fu dopo lo straripamento del 1882 che l’«Isolo», vale a dire il canale dell’Acqua Morta, venne interrato. «Il fiume, come tutta l’acqua, va gestito e curato. Il suo corso, ma anche gli affluenti, la rete idraulica. Con il tempo l’Adige ha perso il suo valore economico e i muraglioni lo fanno sembrare più lontano. C’è una sorta di distacco fisico e percettivo», spiega l’architetto ingegnere. «Il fiume ha una sua vita. Bisogna imparare ad osservarlo. È quello che si faceva in passato e lo raccontano i documenti. C’era un’osservazione diretta e si poteva capirne in parte il corso e l’evoluzione».
Lo racconta anche il professor Salgaro. «Venezia mandava i periti dove c’erano le rotte, obbligando alla riparazione. I periti della Serenissima già 500 anni fa avevano descritto quello che poi è accaduto a Monteforte nel 2010. E n città le piene ci sono sempre state, almeno due volte l’anno. Molti non sanno o non si ricordano che Verona si trova in un paleoalveo dell’Adige». Una sorta di «depressione», quasi una conca vicino al fiume. «Lo si capisce facendo viale Piave o arrivando alla Croce Bianca e vedendo la strada salire sui campi. È ovvio che quindi si tratta di un’area a rischio per quanto riguarda le inondazioni. I fattori che le scatenano possono essere i più vari». E anche per Salgaro è stato dopo il 1882 che Verona ha preso coscienza del suo fiume: «Fu allora che vennero fatti gli interventi risolutivi. Vennero costruiti i muraglioni e venne allargato l’alveo. Soprattutto si cominciò a pensare e progettare quello scolmatore che nei giorni scorsi ha permesso che Verona non venisse travolta dall’acqua. A volta i veronesi e non solo, si dimenticano del loro fiume. E se ne ricordano quando diventa pericoloso. Ma questo succede spesso. E adesso si parlerà di investimenti e opere che fra tre mesi o fino alla prossima emergenza saranno dimenticati».
Bertolazzi Dopo l’inondazione del 1882 cambiò la fisionomia della città Salgaro I periti della Serenissima avevano già previsto tutto 500 anni fa