Il crac delle Popolari? «Riforma frettolosa e omissioni nei controlli»
Nel crac delle Popolari venete, oltre alle colpe dei vertici, per la commissione regionale d’inchiesta hanno pesato anche la frettolosa riforma e le omissioni di Bankitalia.
(f.n.) Il crac di Popolare Vicenza e Veneto Banca? Più che le responsabilità di manager e amministratori, che ne misero le basi, poterono la crisi economica e le omissioni di Bankitalia prima, e poi la frettolosa riforma delle popolari e la gestione scriteriata dell’ultima fase da parte di Bce. Questo, almeno, secondo l’interpretazione delle 280 pagine di relazione conclusiva che la commissione d’inchiesta sulle banche del consiglio regionale ha approvato ieri, consegnandole al consiglio e a un prossimo dibattito sul tema. «Il nostro obiettivo era soprattutto fare una fotografia sincera di quanto è successo. E lo abbiamo fatto con lealtà: la politica regionale non s’è sottratta alle responsabilità», dice la presidente Giovanna Negro.
E però la linea generale che sorregge la relazione si incrocia subito, nel prologo. Quando la relazione afferma che «lo stato di dissesto dei due istituti affondava le radici nella crisi dell’economia del Nordest», che però non hanno condotto al crac tutte le banche. E poi i riflettori vanno su riforme radicali come il bail-in e la partenza della vigilanza europea. E soprattutto sulla riforma delle popolari: «Sembra difficile negare - sostiene la relazione soprattutto all’esito della catastrofe delle due venete, che non sia stato un fatale errore imporre con decreto una trasformazione così radicale e in tempi tanto limitati».
E poi di mezzo c’è il ruolo della vigilanza. Ricostruito minuziosamente, in una relazione, va detto, ben costruita e piena di spunti. «È inquietante il quadro emerso dai lavori della commissione sull’operato degli organi di vigilanza, in particolare Bankitalia, che hanno responsabilità importanti sull’esito finale, il fallimento delle due banche popolari venete, che erano fondamentali per il territorio», ha detto ieri il vicepresidente Antonio Gudagnini, motore della commissione.
La ricostruzione è minuziosa e puntuale su molti punti, ad esempio su come Bankitalia non trova i finanziamenti «baciati» nell’ispezione del 2012, pur avendoli sotto il naso; o approfondisce come la vigilanza, di fronte al livello industriale di «baciate» emerso in Bpvi abbia finito per trattare le due ex popolari allo stesso modo. Così come dalla relazione emerge la tesi in filigrana che Veneto Banca non fosse la stessa cosa di Bpvi quanto a gravità e pervasività delle irregolarità.
Ma la linea interpretativa finisce per mettere al centro i fattori esterni: le riforme e la vigilanza assente di Bankitalia e poi quella pervasiva di Bce e la gestione, nell’ultimo anno della crisi, dell’aumento di capitale con il rimpallo tra Bce e Ue che fa morire le due banche, abbandonate anche da Atlante. Ma il poliziotto inerte non cancella quanto fatti dai malfattori. Invece la relazione non approfondisce le cause interne enumerate da Bankitalia: i troppi soldi persi pompando prestiti negli anni della crisi mentre le altre banche li riducevano; e poi il modello verticistico delle ère di Consoli e Zonin, e gli aumenti di capitale fatti o a colpi di «baciate» o rifilando le azioni ai risparmiatori taroccando le Mifid. Soprattutto la questione del valore irrealistico degli avviamenti delle due banche e del prezzo gonfiato delle azioni, che ha costituito il vero vicolo cieco in cui le due banche, a differenza degli istituti quotati, si sono cacciati, senza più riuscire ad uscirne.