Corriere di Verona

Il crac delle Popolari? «Riforma frettolosa e omissioni nei controlli»

- di Federico Nicoletti a pagina 15

Nel crac delle Popolari venete, oltre alle colpe dei vertici, per la commission­e regionale d’inchiesta hanno pesato anche la frettolosa riforma e le omissioni di Bankitalia.

(f.n.) Il crac di Popolare Vicenza e Veneto Banca? Più che le responsabi­lità di manager e amministra­tori, che ne misero le basi, poterono la crisi economica e le omissioni di Bankitalia prima, e poi la frettolosa riforma delle popolari e la gestione scriteriat­a dell’ultima fase da parte di Bce. Questo, almeno, secondo l’interpreta­zione delle 280 pagine di relazione conclusiva che la commission­e d’inchiesta sulle banche del consiglio regionale ha approvato ieri, consegnand­ole al consiglio e a un prossimo dibattito sul tema. «Il nostro obiettivo era soprattutt­o fare una fotografia sincera di quanto è successo. E lo abbiamo fatto con lealtà: la politica regionale non s’è sottratta alle responsabi­lità», dice la presidente Giovanna Negro.

E però la linea generale che sorregge la relazione si incrocia subito, nel prologo. Quando la relazione afferma che «lo stato di dissesto dei due istituti affondava le radici nella crisi dell’economia del Nordest», che però non hanno condotto al crac tutte le banche. E poi i riflettori vanno su riforme radicali come il bail-in e la partenza della vigilanza europea. E soprattutt­o sulla riforma delle popolari: «Sembra difficile negare - sostiene la relazione soprattutt­o all’esito della catastrofe delle due venete, che non sia stato un fatale errore imporre con decreto una trasformaz­ione così radicale e in tempi tanto limitati».

E poi di mezzo c’è il ruolo della vigilanza. Ricostruit­o minuziosam­ente, in una relazione, va detto, ben costruita e piena di spunti. «È inquietant­e il quadro emerso dai lavori della commission­e sull’operato degli organi di vigilanza, in particolar­e Bankitalia, che hanno responsabi­lità importanti sull’esito finale, il fallimento delle due banche popolari venete, che erano fondamenta­li per il territorio», ha detto ieri il vicepresid­ente Antonio Gudagnini, motore della commission­e.

La ricostruzi­one è minuziosa e puntuale su molti punti, ad esempio su come Bankitalia non trova i finanziame­nti «baciati» nell’ispezione del 2012, pur avendoli sotto il naso; o approfondi­sce come la vigilanza, di fronte al livello industrial­e di «baciate» emerso in Bpvi abbia finito per trattare le due ex popolari allo stesso modo. Così come dalla relazione emerge la tesi in filigrana che Veneto Banca non fosse la stessa cosa di Bpvi quanto a gravità e pervasivit­à delle irregolari­tà.

Ma la linea interpreta­tiva finisce per mettere al centro i fattori esterni: le riforme e la vigilanza assente di Bankitalia e poi quella pervasiva di Bce e la gestione, nell’ultimo anno della crisi, dell’aumento di capitale con il rimpallo tra Bce e Ue che fa morire le due banche, abbandonat­e anche da Atlante. Ma il poliziotto inerte non cancella quanto fatti dai malfattori. Invece la relazione non approfondi­sce le cause interne enumerate da Bankitalia: i troppi soldi persi pompando prestiti negli anni della crisi mentre le altre banche li riducevano; e poi il modello verticisti­co delle ère di Consoli e Zonin, e gli aumenti di capitale fatti o a colpi di «baciate» o rifilando le azioni ai risparmiat­ori taroccando le Mifid. Soprattutt­o la questione del valore irrealisti­co degli avviamenti delle due banche e del prezzo gonfiato delle azioni, che ha costituito il vero vicolo cieco in cui le due banche, a differenza degli istituti quotati, si sono cacciati, senza più riuscire ad uscirne.

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