Il dono di Marina a Carlo Trent’anni di amore
Venezia: il libro fotografico di Cappellini domani alla Biennale
Lei non l’ha visto, ma lo voleva a tutti i costi. Lui l’ha saputo ma non ha fatto in tempo a vederlo. Eccolo, il regalo di Marina Ripa di Meana a suo marito Carlo. E’ un libro pieno di energia, fotografie, ricordi, percorso dalla nostalgia di una generazione che oggi sta scomparendo, ma di cose ne ha fatte. Doveva essere il regalo di Marina per i novant’anni di quell’uomo con cui, inseparabile, aveva passato i secondi trentaquattro anni della sua vita, tra mattane, scazzi, gelosie, incendi d’amore, tutti indissolubili. Lei si è spenta il 4 gennaio di quest’anno, lui è morto meno di due mesi dopo, il 2 marzo. Resta il «loro» libro, che si intitola «Le mie Biennali», curato come una devota, e anche gioiosa, corona di fiori da Lorenzo Capellini, che ne ha riempito le pagine con le sue foto dell’epoca e con interventi dell’editore Massimo Vitta Zelman (Skira), Vittorio Gregotti, Paolo Baratta, Paolo Portoghesi, un’intervista di Guido Vergani, un dialogo con Alberto Moravia, un messaggio di Andrej Sacharov… Un salto indietro di più di 40 anni, perché Carlo Ripa di Meana fu presidente della Biennale dal 1974 al 1978.
L’ultima cosa che ha scritto prima di morire sono state le tre paginette per questo libro, il ricordo di «un’esperienza esaltante» che inizia in modo fulmineo e sincero: «Quando il 20 marzo 1974 si riunì a Venezia il Consiglio direttivo per designare il nuovo presidente della Biennale, io venni eletto con lo scarto di un voto. Il mio». Aveva 45 anni e un pedigree composito: marchese tre volte e signore di Alteretto e Losa, con il nonno che era stato il comandante dell’Arsenale di Venezia, con la mamma Fulvia Schanzer figlia di un ministro giolittiano, a ventiquattro anni va a Praga a dirigere, per conto del Pci, la Rivista internazionale degli studenti. Poi fa il libraio per Feltrinelli prima a Pisa e poi a Milano, e diventa socialista. La sua è una carriera politica atipica, fuori dagli apparati e tutta spesa sul suo fascino di essere poco omologabile, di cultura raffinata, molto free e quasi libertario. Non farà più di tanto scandalo, anni dopo, la sua autoconfessione senza pentimenti di un amorazzo con una trans: «Ma questo sono io, con i miei difetti, non credo sia giusto spiantare un pezzo di vita perché discutibile o può spiacere a chi non lo sapeva». Diventerà consigliere regionale in Lombardia, deputato europeo e commissario europeo alla cultura, poi ministro dell’Ambiente, e ancora leader dei Verdi, attivo in Italia Nostra, presidente onorario dell’Associazione italiana per la Wilderness. Prima di tutto questo, a capo di una Biennale che non si faceva più da sei anni, dalle contestazioni del ‘68. Era chiamato ad una rinascita, e ci riuscì. La ‘«macchina» culturale della Biennale dipendeva dai finanziamenti pubblici. Lui: «Guadagnavo poco, un milione al mese, ma avevo tutto». Idee, innanzitutto. Come
quella di far ripartire l’attività da idee tematiche d’attualità, piuttosto che da un’organizzazione tradizionale. Così nel ‘74 ci si concentra sul Cile, neo orfano di Allende, arrivano gli Inti Illimani e a palazzo Ducale la figlia Isabel e i democratici di mezzo mondo. L’anno dopo tocca all’arte spagnola sotto il franchismo, con Francisco Franco ancora vivo. E nel ‘77 la Biennale del dissenso, la volontà di dar voce e presenza ai contestatori del modello sovietico. Lungimirante? Intanto contestatissima, e non solo dal Pci che pur provava ad essere eurocomunista, ma perfino dall’establishment politico e da molti industriali, sicuramente anticomunisti ma preoccupati per le loro relazioni d’affari con l’Urss. Carlo Ripa di Meana a Venezia, in quel ‘74, s’era portato dietro Lorenzo Capellini, fotografo, amico, consigliere, che l’aveva anche ospitato a casa sua: un appartamento in rio dei Catecumeni prestato da Wally Toscanini. Lì è avvenuto il primo incontro con Marina ex Lante della Rovere, nata Punturieri, splendida nei suoi trentatre anni, in fuga dal Danieli e da un inopportuno spasimante romano. C’è anche questa foto nel libro, tra le tante che raccontano l’«esperienza esaltante»: la più tenera e spontanea, accanto al turbinio di artisti, intellettuali, ufficialità, provocazioni. Insomma, la Biennale. Che era arte, teatro, cinema e con Ripa di Meana diventò anche architettura. E queste 80 pagine, che verranno presentate venerdì 9 novembre nella sede della Biennale a Ca’ Giustinian (alle 11.30, con Paolo Baratta, Daria Ripa di Meana, Bobo Craxi, Vittorio Sgarbi, Marina Valensise e Massimo Vitta Zelman) diventano flash back per l’oggi, un mix irripetibile di sentimento, intelligenza e politica.