Referendum boccia i contratti stagionali La Cgil: «Alla Stiga torni l’articolo 18»
Un referendum fa saltare la conferma di 150 contratti stagionali su 900 lavoratori alla Stiga di Castelfranco Veneto e, almeno per la Fiom Cgil, il messaggio è chiaro. L’epoca della flessibilità spinta sta raggiungendo limiti non più sopportabili, specie se non temperata da stabilizzazioni dei precari. Dunque, se si vuole continuare ad affidare alla contrattazione fra le parti intese territoriali ad hoc sui contratti a termine, a orario ridotto o flessibili, come consentito dalle leggi del 2011 firmate dall’allora ministro Maurizio Sacconi, si riporti in fabbrica anche l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Quello messo fuori gioco dal Jobs Act di Matteo Renzi.
Nei fatti, quel che è accaduto tre giorni fa alla Stiga, multinazionale dei rasaerba che ha da poco completato un grande investimento per una nuova sede alla periferia di Castelfranco, pianta un chiodo in una successione di accordi che prosegue da vari anni. Visto che la produzione si concentra fra l’autunno e la primavera e che l’azienda per questo ha sempre fatto ricorso ai contratti a termine, per superare i limiti di legge dei 36 mesi massimi (ridotti a 24 con il recente «decreto Dignità») sono sempre stati necessari accordi sindacali. Ma stavolta la firma è stata subordinata all’esito di un referendum interno che non ha dato gli esiti attesi. Solo 130 «sì» su 610 elettori: bocciato.
Conseguenza: niente più assunzioni stagionali. Niente part-time e nessun ritorno in fabbrica, in pratica, per una parte cospicua di forza lavoro, qualificata attraverso anni di sia pure intermittente servizio in azienda. Azienda che, per far fronte ai fabbisogni produttivi, deve rapidamente risolvere un aut-aut: cercare nuovi operai altrettanto bravi e formati, ma non si capisce dove, oppure far fabbricare ciò che le serve altrove. Magari in qualche altro stabilimento d’Europa.
«Non è accettabile il ricatto occupazionale», tuona però Enrico Botter, segretario della Fiom Cgil di Treviso. Non si può fare affidamento sulla disponibilità costante del sindacato a far leva su tutti i bizantinismi in qualche modo permessi dalla legge, «pretendere deroghe normative, fini a loro stesse», e restare rigidi di fronte alle richieste di una progressiva crescita dei contratti a tempo indeterminato. Soprattutto se, come è accaduto in pochi mesi, ci sono stati quattro licenziamenti per giusta causa, fra cui uno a carico d una Rsu Fiom, e 23 contestazioni disciplinari.
Perciò ecco la mano tesa a Stiga: ok a contratti a termine oltre i limiti ma si torni un po’ alla volta ad assumere stabilmente e con divieto di licenziamento per motivi meno che gravissimi. Prendere o lasciare, sempre che ve ne siano ancora il tempo e i modi. E pensare che, per proteggersi dalle ricadute del referendum-choc, alla direzione aziendale, sarebbe bastato poco. Ad esempio «invitare» i 280 impiegati con diritto di voto a partecipare alla consultazione. Sarebbero stati tutti sì. Ma solo 23 lo hanno fatto e la Fiom ha chiamato scacco.