L’agente oltre confine «Tre riunioni al giorno dopo l’arresto ci siamo abbracciati con i croati»
Quanto tempo siete rimasti in Croazia? Come si è sentito al rientro?
«Siamo partiti il 25 ottobre e tornati il primo novembre. Martedì scorso siamo ripartiti e venerdì alle 13 eravamo in Italia. In totale, dodici giorni». «E’ stata un’esperienza indimenticabile».
«A febbraio avevamo già le idee chiare. Con pazienza e costanza siamo riusciti a localizzarli e non li abbiamo mai persi di vista. Non è stato facile… La nostra forza è stata non mollare mai». A ventiquattr’ore dal suo rientro in Italia un agente della squadra mobile di Venezia tira un sospiro di sollievo ma dalla sua voce si percepisce ancora l’adrenalina per aver contribuito a smantellare la banda che ha compiuto il furto del secolo a Palazzo Ducale: «Era stato uno sfregio alla città».Lui e un collega dello Sco sono i due investigatori italiani che hanno raggiunto la Croazia per uno scambio di informazioni che si è rivelato necessario per catturare i ladri.
Come avete trascorso questi dodici giorni?
«Non siamo andati lì per essere operativi, il nostro era un supporto di intelligence. La prima settimana c’è stato uno scambio importante di informazioni che erano state raccolte da noi e dai colleghi dello Sco». Che tipo di informazioni?
«Quelle relative alla vita e agli spostamenti dei sospettati. Tutto ciò che avevamo scoperto e che poteva essere utile per catturarli. Ad esempio, il lavoro che facevano. Zvonko Grgic avevamo scoperto che lavorava per una società di sicurezza privata sulla costa. Vladimir Ðurkin lo abbiamo localizzato anche grazie a una foto su Facebook. Aveva postato un’immagine della sua casa. Nel momento in cui è stata localizzata, era cambiato solo il cancello. La vera difficoltà è stato Vinko Tomic, il capo banda». Perché? «Inizialmente si pensava che fosse in Bosnia, ma non era così. Abbiamo monitorato la moglie e il figlio e siamo riusciti a trovarlo. È un criminale che cercava mezzo mondo, sono fiero che ad assicurarlo alla giustizia sia stata la squadra mobile di Venezia». Un uomo che utilizzava anche diversi alias. «Esatto. Quando è stato arrestato, mercoledì a mezzogiorno,
eravamo a Zagabria. I colleghi croati non si sbilanciavano su di lui. Quando ci hanno avvisato che lo avevano preso, ci siamo abbracciati. Eravamo tutti stressati…».
Il quinto uomo della banda invece è stato fermato il giorno dopo al confine con la Serbia.
«Anche quella è stata un’emozione. I croati, che a differenza nostra hanno una squadra catturandi, si sono presentati in ufficio e ci hanno detto “Surprise!”». Avete avuto delle difficoltà in Croazia?
«Devo ammettere che i colleghi croati sono tosti… Facevamo delle riunioni almeno tre volte al giorno per scambiarci informazioni e questo è stato positivo. Noi due italiani eravamo supportati da un ufficiale di collegamento, soprattutto per le comunicazioni in inglese. I contatti con loro sono stati costanti in tutta l’indagine». Che cosa ha fatto la differenza in questo scambio?
«I croati sono molto schematici. Noi spaziamo, siamo più creativi. Basti pensare al monitoraggio dei profili sui social network dei sospettati. La casa individuata, la foto di Tomic su Facebook con lo stesso anello che indossava il giorno del furto. Tutti elementi che ci hanno aiutato. Quello che non hanno gli altri è la fantasia che abbiamo noi italiani».