CALAMITÀ, LA VIA PER PREVENIRE
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Le frane, inondazioni, mareggiate e tempeste di vento abbattutesi i giorni scorsi su 11 regioni italiane verranno iconicamente ricordate per gli alberi sradicati e spinti dal Piave contro la diga del Comelico, per la Basilica di San Marco invasa dall’acqua alta, e per la villa abusiva di Casteldaccia sepolta con dodici vittime dal fango del fiume Milicia. Ma resteranno nella memoria anche per i dieci miliardi di euro stanziati e destinati a sanare i guasti di quest’ultima recente ondata di calamità naturali. Dieci miliardi sui quali l’Unione Europea non ha niente da dire. Anzi è pronta a contribuire.
Sempre di intervento ex post si tratta, di sicuro meno efficace del corrispondente intervento preventivo, ma almeno di entità che sembra adeguata. Una eccezione, se la si confronta con i trattamenti dei casi analoghi, anche recenti, di terremoti, incendi, siccità ed altre alluvioni. Grazie al governo legastellato le alluvioni hanno al momento vinto la lotteria, facendosi preferire alle altre calamità. È comunque da sperare che la scelta governativa sia dovuta anche alla consapevolezza che i cambiamenti climatici, sono. sempre più causa di calamità «imprevedibili», ma producono conseguenze «prevedibilissime» e, pertanto, «prevenibili». «Prevenzione» ritualmente promessa ad ogni disgrazia dai governanti di turno, ma difficilmente poi attuata per almeno due ordini di motivi. Il primo è la crisi finanziaria dello stato.
La scossa è stata lieve: 3.1 gradi della scala Richter, con epicentro tra Santo Stefano di Cadore e Vigo e ipocentro a sei chilometri di profondità. Pochi hanno detto di averla sentita. La maggior parte non ha avvertito nulla, ma non è questo il punto. Le facce delle persone cominciano a essere stanche e scavate dalla tensione, i cuori appesantiti. È un mese quasi che i bellunesi, soprattutto quelli residenti nella parte alta della provincia, dove si trovano i Comuni più devastati dall’ondata di maltempo di fine ottobre, non hanno tregua. A ogni sforzo di rinascita, incombe una nuova caduta.
«Molti mi hanno parlato di un botto improvviso e poi di una scossa — racconta Alessandra Buzzo, sindaco di Santo Stefano di Cadore — io ero all’aperto e non ho sentito nulla. Per fortuna non ci sono state segnalazioni di danni. La gente è già abbastanza provata dall’alluvione e vive ogni evento in modo amplificato. Siamo stanchi». La prima scossa è stata registrata alle 11.50. Tre minuti dopo è arrivata quella di assestamento, di magnitudo 1.8 ed epicentro in Comelico. Dal punto di vista sismico l’area è stata classificata 3 su una scala che va da 1 a 4 (il più grave è l’1). «Questo significa che la sismicità è rara — spiega Paolo Spagna, componente del Consiglio nazionale dei Geologi e past president dell’Ordine dei Geologi del Veneto —. Ogni tanto possono esserci delle scosse, anche più intense rispetto alle abituali. Fa parte di una normale attività sismica a cui sono sottoposte le Alpi, ma da quello che ho sentito non ci sono condizioni di pericolosità. Certamente è un fenomeno da tenere sotto controllo».
L’incubo maltempo, per i bellunesi, ha inizio il 24 ottobre, quando comincia a soffiare un vento caldo e secco. È il Föhn, che si abbatte su alcune zone della provincia con raffiche superiori ai 100 chilometri orari. Un albero viene sradicato, finisce su un cavo dell’Alta tensione nella valle di San Lucano e si innesca un incendio che brucia 700 ettari di bosco. Il 29 comincia l’alluvione. Pioggia e vento si abbattono con violenza nel Bellunese. Interi Comuni rimangono senza luce, acqua e copertura telefonica. Le strade vengono invase dalle frane. Gli alberi e i tralicci della corrente elettrica cadono inermi al suolo. Nel bilancio già tragico dei danni si registrano 5 morti: due persone vengono schiacciate da un albero, un uomo scivola nel torrente e due anziani, nel tentativo di scaldarsi con un generatore privato, rimangono intossicati dal monossido di carbonio.
Finita l’emergenza appaiono gli sciacalli. Prima qualche furto di gasolio ai generatori portati da E-distribuzione a Rocca Pietore e Selva di Cadore. Poi sono prese di mira una gioielleria e due abitazioni ad Agordo, dove spariscono circa 2.500 euro, due pistole e un anello da 700 euro. Due giorni fa dei ladri hanno prelevato 800 litri di gasolio da un generatore a Sovramonte. Il terremoto è la «mazzata» finale.
Cominciano, inoltre, i primi incidenti in montagna. Ieri l’elicottero del Suem di Pieve di Cadore è intervenuto in zona Ciadin del Laudò, sul sentiero che porta a Forcella Marcoira sul Sorapiss, per un escursionista scivolato sul ghiaccio per 150 metri. F.L., 30enne di Rovigo, stava salendo con due amici verso il Rifugio Vandelli quando hanno trovato la neve e, non essendo attrezzati, hanno deciso di tornare indietro. Il giovane però è scivolato in un canalone. Recuperato con il verricello dal Suem, è stato trasportato con un probabile politrauma all’ospedale di Belluno. I due amici, sotto choc, sono stati accompagnati al Passo Tre Croci.