«Dobbiamo correre di meno»
Il salesiano laico con un passato da operaio «Papa Giovanni ha rappresentato il cambiamento»
Fatica «Al lavoro assorbii un forte senso di socialità» Passione «La poesia mi aiuta non perdere il senno»
«Tipi veronesi» - la proposta domenicale del Corriere di Verona -intende raccontare, attraverso la storia di personaggi più o meno famosi, l’evolversi della nostra città.
Uno sguardo al passato rivolto al futuro affidato alla penna del nostro collaboratore Lorenzo Fabiano. Per eventuali segnalazioni potete scrivere una mail a corrierediverona@rcs.it oppure a lorenzo.fabiano@me.com
Èun mondo che va di fretta. I nostri vecchi ci dicevano fosse una cattiva consigliera. Di quel monito poco è rimasto se nel nostro quotidiano, oggi della frenesia vorticosa siamo inconsapevoli sudditi. Arturo Gabanizza, salesiano, una vita dedicata agli ultimi, poeta ed educatore, cita un proverbio africano: «Chi corre non potrà mai contemplare le stelle». Gabanizza nella vita è uno che ha corso, e pure molto; da giovane si è fatto in quattro e ha fatto di tutto, da operaio alla Mondadori fino al sindacalista: poi però ad un certo punto del suo percorso Arturo ha fatto una scelta di vita: ha preso i voti da religioso laico, ha insegnato cultura civica e religione, ha assistito gli emarginati e trovato capacità di espressione nella poesia. Si è insomma fermato ad ascoltarsi per poi poter ascoltare gli altri: «Dobbiamo recuperare la capacità di saper ascoltare “da dentro”. Ognuno di noi, pur senza per forza parlare, manda dei messaggi. La nostra sensibilità sta nel saperli cogliere. Purtroppo spesso ci sfuggono, proprio perché corriamo troppo». Figlio unico, nasce il 15 dicembre del 1937 nella vecchia maternità di Via Moschini a Santo Stefano. Cresce con i genitori Carlo ed Erminia agli Scalzi: «Due genitori religiosi, mai integralisti, pacifisti e sempre aperti al bisogno degli altri. Mio papà era un socialista cattolico, faceva l’artigiano del marmo, oltre che lo scultore. La nostra casa era sempre aperta a visite di parenti e amici». A volte anche di ospiti del tutto inattesi: «La guerra stava per finire. In casa nostra trovò rifugio un disertore tedesco. Dormì da noi, mio padre gli dette i suoi vestiti, e il giorno dopo se ne andò. Papà detestava ogni forma di violenza e vendetta». Trascorre l’infanzia e l’adolescenza tra le vie del quartiere («Con qualcuno dei “butei” ci vediamo ancora. Ma siamo rimasti in pochi oramai»), si diploma all’Istituto Tecnico Galileo Ferraris, e inizia a lavorare come apprendista alla tipografia degli Stimmatini. Nel 1953 entra alla Mondadori, prima nell’allora sede di Via San Nazzaro e successivamente a San Michele: «Al reparto Rotocalco stampa si sgobbava duro, ma è stato lì che ho assorbito quel forte senso di socialità che ancora persiste in me». Ecco quindi che negli anni Sessanta Gabanizza svolge un ruolo attivo nel sindacato e nei movimenti pastorali sociali. Ad illuminargli la strada è l’influenza di figure con Don Milani, Padre Turoldo ma soprattutto Papa Giovanni: «Lui ha rappresentato il cambiamento. Una persona sempre vicina alla gente attraverso la semplicità della parola. In questo Papa Francesco gli assomiglia molto». Che qualcosa di nuovo dentro di sé si stesse muovendo, Arturo Gabanizza lo percepisce nel 1969 quando l’azienda lo manda alla Scuola grafica dei Salesiani sotta la guida di Luigi Fumanelli: «Imparai a conoscere Don Bosco e il suo sistema educativo, l’amore per i ragazzi e il lavoro. Mio padre Carlin venne a mancare dopo una lunga malattia». Nel 1970 Arturo fa la sua scelta e diventa salesiano laico: «Il 31 ottobre del 1971 pronunciai i primi voti confermati in forma perpetua il 31 gennaio del 1978». Per più di trent’anni Gabanizza è stato un riferimento nella formazione dei ragazzi; per dieci anni ha insegnato Cultura civica e Religione: «I ragazzi vanno ascoltati. Ne ricordo uno che mi disse: “Ma perché sono bravo, solo se porto a casa nove”.” Dobbiamo guardare al loro cuore, come diceva Don Bosco». A metà anni ‘70 Verona è invasa dal flagello della droga fino ad essere battezzata come «la Bangkok d’Italia». Sul fine degli anni ‘80 un ex allievo chiede a Gabanizza di aiutare il fratello ad uscire dal tunnel della tossicodipendenza: «Mi avvicinai alla Comunità dei Giovani di Don Sergio Pighi e di Don Franz Cremon. Aprimmo una stamperia ad Albarè dove mettemmo a lavorare ragazzi tossicodipendenti. Il disagio di vivere è un male trasversale. Droga e alcool non sono che figli di quel disagio. La piaga del suicidio è diffusa nei giovani». Arturo Gabanizza è anche un poeta: «Scrivevo poesie, ma non le pubblicavo. Fu un mio allevo a convincermi a stamparle. Con i proventi finanziammo la Comunità, la Missione di Don Franz in Africa, la Casa Salesiana di Aleppo». Nel 2015 Gabanizza è stato premiato dall’Università Salesiana di Roma: «La poesia mi aiuta a non perdere il senno. Cosa vuole...son maurà col tempo, ma speremo no sia passà massa». No Arturo, quelli come lei hanno un dono: sono senza età.