La via per prevenire
Il macigno del debito pubblico che ci impedisce ormai da decenni di stanziare al momento giusto tutte le somme necessarie a regimentare i fiumi, a rimboschire i pendii, ad aumentare la resilienza antisismica delle nostre case etc. Il secondo motivo è l’incapacità italiana di prendere decisioni olistiche di lungo periodo, che non trattino il rischio idrogeologico dimenticando il terremoto di qualche giorno prima, o l’incendio di qualche mese fa, o fingendo di non sapere che la manutenzione delle infrastrutture ambientali è solo parte di una politica da estendere alle infrastrutture sociali (scuole, ospedali, etc) e ancor più a quelle economiche (energetiche, digitali e di trasporto), dalle quali dipende quella produzione del reddito che solo può finanziare il tutto nel tempo. Carenza di risorse di un Paese sovraindebitato e cortotermismo politico che, ad ogni ondata calamitosa, innescano annunci di buoni propositi nella fase emergenziale salvo vederli svanire alle soglie degli interventi di prevenzione. Un corso degli eventi che si può cambiare? Sì. E i dieci miliardi contro i danni da alluvioni sono a testimoniarlo. Ma poiché una rondine non fa primavera, occorre che a questa segua la creazione di condizioni politiche, istituzionali e finanziarie da tempo scomparse dall’agenda del governo: un andazzo che – nonostante i dieci miliardi contro le alluvioni - il «contratto» legastellato non smentisce. Perché condizioni politiche - occorrerebbe che fosse il Parlamento ad approvare e proteggere un programma di interventi di lungo periodo, trentennale o forse di più, assistito da un adeguato flusso di risorse pubbliche, e non. Un programma di interventi preventivi e sistematici difficilmente garantibili se non affidati - condizioni istituzionali- a una «Agenzia per le Infrastrutture», sull’esempio dell’Australia o della Francia, dotata di poteri simili a quelli della Banca d’Italia. Ma occorrerebbe soprattutto che fossero garantite - condizioni finanziarie - risorse adeguate in modo costante e indipendente dal ciclo politico e finanziario. Problema risolubile solo avendo il coraggio di ricorrere alle coperture assicurative e di aggiungervi contributi pubblici, europei e nazionali, prestiti a lunga scadenza, e detrazioni fiscali, come per le ristrutturazioni edilizie, energetiche e ambientali. Ma qui ritorniamo al tema oggi al centro del dibattito sulla manovra finanziaria per il triennio 2019-21, quello oggetto dello scontro finto con la Ue, che riflette quello vero tra l’Italia e i finanziatori nazionali e stranieri del suo debito. L’insulsa querelle sul 2.4% o 2.9% di rapporto deficit/Pil assumerebbe tutt’altro significato se dimostrassimo - cambiando la qualità della manovra - che le maggiori risorse ci servono per aumentare il potenziale produttivo del Paese con un adeguamento delle sue «infrastrutture»: anche di quelle «ambientali», che ricomprendono la «difesa del suolo». I dieci miliardi contro le alluvioni vanno in questo senso e dimostrano che con la Ue abbiamo più da guadagnare collaborando e sfruttando a nostro favore le sue regole che scontrandoci.