Bellezza e memoria
Antonia Arslan e il nuovo romanzo: viaggio alle radici dell’intolleranza, storie (e poesie) che scoprono «l’altro» tra Oriente e Occidente
«Gli incontri fatti in tutto il mondo mi lasciano immagini, ricordi, sono tasselli che mi porto dentro e appena posso racconto. Riecheggia e risuona in me quel rumore meraviglioso, come una musica di partenze e di addii, che ogni volta mi commuove»
Nel libro ci sono particolari inediti della storia armena, dei suoi antenati, di nonno Yerwant, di suo padre e di sua madre. Perchè ha deciso di raccontarli solo ora?
«Sono andata a fondo della storia della mia famiglia. Ho trovato materiale, curiosità, aneddoti, che non conoscevo nemmeno io. E che non ci sono in La Masseria delle allodole. Ho rivisto la vita di nonno Yerwant in prospettiva, l’incredibile tenacia e la forza con cui ha costruito un futuro in Italia, a Padova, per i suoi figli e i suoi nipoti. E la capacità con cui è riuscito a farsi amare a Padova da sconosciuti, che gli hanno addirittura pagato gli studi a Parigi, quando non aveva nulla. Un «debito d’onore» che poi ha restituito»
Noemi, la mamma Vittoria, le zie scampate alla strage della Masseria, Katerina, Flaminia, la bimba morta nel disastro del Vajont, Lavinia, Cecilia: figure femminili protagoniste, che introducono anche il tema del rapporto tra madri e figlie
«Racconto la maternità in un modo differente. Si rischia sempre di parlare della maternità riempiendola di stereotipi. Credo alla base del rapporto madre-figlia ci sia l’accettazione della diversità. Persone diverse, ognuna con la propria individualità. Accettare questa diversità non è facile. Anche per me è stato difficile rendermi conto che mia figlia è completamente diversa da me, come è giusto che sia. Le madri armene che salvarono i figli spesso sacrificando sè stesse o facendo scelte dure da raccontare, hanno dimostrato la resilienza e l’amore che va oltre ogni forma di possesso. Anche se magari per anni quei figli sopravvissuti ma abbandonati al loro destino, non l’hanno capito. Salvare una vita ammaccata è comunque sempre meglio che perderla» Con i suoi libri best seller
tradotti in ogni Paese è diventata la principale testimone nel mondo dell’eccidio armeno. A Padova da qualche anno porta avanti anche un progetto per diffondere la cultura armena con il Dessaran Festival. Questa della testimonianza è una missione?
«Il mio lavoro di scrittrice mi ha portato a scavare nel genocidio armeno e a raccontare. A non lasciare che si dimentichi. Ma ho sempre parlato anche della bellezza della cultura armena, dalla poesia, all’arte, al cibo. E con il Dessaran Festival, che sarà dal 26 novembre al 2 dicembre a Padova, divulgo le diverse anime culturali, dal teatro, alla musica, alla scrittura, al cibo, portando a Padova artisti e studiosi armeni. Ad esempio, lunedì 26 novembre per la prima volta sarà a Padova la pièce teatrale sul genocidio armeno, che in Francia ha vinto 5 Premi Molière: «Una bestia sulla luna» con Elisabetta Pozzi, in scena al Piccolo Teatro Don Bosco. Racconta di Aram fuggito dal genocidio del suo popolo, che vuole disperatamente ricostruirsi una vita a Milwaukee e decide di sposare per procura una donna armena. Le precedenti edizioni del Dessaran Festival hanno avuto migliaia di adesioni, c’è stato il tutto esaurito in ogni appuntamento. La gente evidentemente ha voglia di scoprire la cultura armena».
Cosa vorrebbe lasciare nei lettori con questo nuovo libro?
«Nei libri, alla fine, ognuno trova qualcosa di diverso, coglie aspetti differenti. E questa è la bellezza della lettura. La dimensione del racconto mi appartiene molto. In questo libro ho narrato tante storie che rappresentano il flusso della vita attraverso la quotidianità. Un tessuto costruito dai racconti, una trama, come un tappeto orientale di storie, in cui ognuno può specchiarsi e trattenere quell’emozione o quella suggestione, che sarà sempre diversa da quella di chiunque altro»