Prodotti bio, l’incubo falsi «L’app garantirà qualità»
Nel Veronese 750 produttori devono fare i conti con un mercato in crescita
Anche il Veronese partecipa al boom del biologico, circa 6.500 ettari convertiti, oltre 750 operatori fra città e provincia. Un boom che non è tutto rose e fiori come dimostra lo scandalo dei falsi prodotto bio, della scorsa settimana.
Da nicchia (anni 80) a business (oggi). Nel bene e nel male. Anche il Veronese partecipa al boom del biologico, circa 6.500 ettari convertiti, oltre 750 operatori fra città e provincia (stime più recenti di Coldiretti) e una clientela – sintetizza Albino Migliorini della Cooperativa La Primavera di Zevio – «che tocca tutte le età ma soprattutto le coppie giovani, al primo o secondo figlio, che si preoccupano del benessere altrui e di creare un futuro migliore». Un boom che, visto da vicino, non è tutto rose e fiori. Anzi. Lo dimostra lo scandalo dei falsi prodotto bio, che la scorsa settimana ha portato all’arresto di quattro persone. Una situazione che chiama in causa trasparenza e bontà dei controlli. Riflette Enrico Casarotti, veronese e presidente di Ave.Pro.Bi, l’Associazione veneta dei produttori biologici e biodinamici: «C’è l’ascesa del fenomeno dei falsi, che nasce da un’offerta di prodotti a basso prezzo. C’è la sfida aperta dalla grande distribuzione, che spinge il “bio” ma deve anche saperlo garantire, cosa non facile visto il conflitto d’interessi delle aziende che di fatto finanziano gli organi di controllo. Tutto ciò cambia il quadro generale anche per i nostri storici produttori locali». Ci sarà un perché, d’altronde, se la Cooperativa La Buona Terra di Villafranca sta pensando a «una certificazione ulteriore tramite app che permetta al cliente di controllare l’intera filiera del prodotto che acquista da noi». O se da Ca’ Magre di Isola della Scala, di fronte al «calo del fatturato per tutte le aziende “bio” storiche dell’810% rispetto a 4, 5 anni fa», chiedono che «tra i parametri di certificazione rientri la capacità di aumentare la fertilità del terreno».
Parliamo dei pionieri veronesi nel campo del «bio». Campo in cui, inquadra Casarotti, Verona va forte «specie per frutta e verdura, con olio, vino e cereali in crescita». E s’è vero che «nel vino i controlli sono stringenti di per sé», come testimonia Sisto Tessari dell’azienda La Cappuccina a Monteforte d’Alpone, certificazione dal 1985, circa 300 mila bottiglie l’anno, è anche vero che per frutta e verdura il discorso cambia. Dice Valentina Zuccher de La Buona Terra, fondata nel ‘90, 8mila soci, una decina di aziende locali coinvolte, che «il biologico va spiegato perche fatto di passione, etica, rispetto per ambiente e lavoratori. Le grandi aziende ne colgono solo l’aspetto-business. Il biologico ha senso se è locale, non se il prodotto deve viaggiare sui camion, e i prezzi non possono essere quelli da supermercato». Chi ha iniziato a fare biologico «non per business ma per principio», insomma, vive «un momento di difficoltà», commenta Antonio Tesini, presidente di Ca’ Magre, 60 ettari di ortaggi biologici e 30 anni di attività: «Un conto è l’agricoltura biologica a livello industriale, un altro è quella, più costosa, dove si guarda alla fertilità della terra. Bene che l’utente cerchi il “bio” anche al supermarket, ma nulla vale quanto il contatto diretto con chi sa da dove arriva il prodotto». Certo, sottolinea il già citato Migliorini de La Primavera, circa 60 soci, attiva nel «bio» dal 1989, «la grande distribuzione non va demonizzata». Di più: «Il “km 0” va benissimo. Ma se vogliamo un ambiente più pulito dovremmo portare il nostro “bio” anche in altre realtà dalla sensibilità ancora bassa. E fare squadra: ognuno da solo davanti alla grande distribuzione sarebbe autolesionismo». Quella grande distribuzione che secondo il presidente di Coldiretti, Daniele Salvagno, «deve anch’essa far parte del mondo “bio” ricordando che se compra il biologico del territorio dove s’installa valorizza un’etica sociale». Etica che per Salvagno, riepilogando, investe tutti: «Chi compra “bio” sia disposto a spendere qualcosa in più, chi produce faccia da garante».
C’è la sfida aperta dalla grande distribuzione: spinge il biologico, ma deve saperlo garantire