SE IL GIOCO NON VALE LA CANDELA
Matteo Salvini farebbe bene a smetterla di ironizzare sulle «letterine» da Bruxelles. Piuttosto, dovrebbe riflettere seriamente sul malessere che cresce al Nordest. La luna di miele tra mondo produttivo, piccole e medie imprese in testa, ed esecutivo gialloverde è finita. E il rischio, dopo la bocciatura della manovra da parte della Commissione europea, è l’esplosione della Questione settentrionale. Un paradosso in terra di Lega e con la Lega «azionista di riferimento» del «governo del cambiamento».
La realtà è che le categorie imprenditoriali appaiono sempre più preoccupate e inquiete. Perché i conti non tornano e le stime di crescita cozzano con un’economia in evidente frenata. Prima il Decreto dignità, che lungi dall’avere favorito le assunzioni a tempo indeterminato, per il momento ha avuto l’effetto di ridurre nell’ordine del 20 per cento persino i contratti di lavoro intermittente. Poi lo scontro tra Lega e 5 Stelle sulle opere pubbliche, con la messa in discussione della Tav ma anche della Pedemontana Veneta, del Passante di mezzo di Bologna, del tunnel del Brennero e di tutta una serie di infrastrutture attese da anni. Quindi la presentazione della manovra, per 27,2 miliardi in deficit e con 10 miliardi destinati al reddito di cittadinanza, provvedimento che al Nord viene bocciato dal 53 per cento dei cittadini (sondaggio Ipsos-Corriere della Sera).
Il tutto senza un intervento forte per la riduzione del carico fiscale e con l’aggiunta del ridimensionamento del piano Industria 4.0, grazie al quale erano ripartiti gli investimenti in innovazione tecnologica.
Gli industriali del Triveneto, infine, riuniti a Padova per la presentazione del rapporto annuale della Fondazione Nordest, hanno riservato al ministro dell’Economia Giovanni Tria un’accoglienza a dir poco gelida. Di più: Maria Cristina Piovesana, presidente vicario di Assindustria Venetocentro, si è lanciata in un duro atto d’accusa contro le scelte populiste e «la modesta politica di questi nostri tempi». La bocciatura proveniente dalla Commissione, ovviamente, non fa che rinforzare i timori. Non tanto per la ventilata ma lunghissima procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia, le cui ripercussioni sarebbero comunque devastanti, a cominciare dalla distribuzione dei fondi strutturali (in gioco ci sono decine di miliardi, soprattutto nella programmazione 20212027). Gli effetti negativi sono immediati. Secondo la Banca d’Italia, il rialzo dello spread ci è già costato, negli ultimi sei mesi, 1,5 miliardi e se dovesse mantenersi intorno ai 300 punti il «prezzo» da pagare per il 2019 sarebbe di altri 5. Tradotto, una (buona) fetta di manovra se ne andrebbe in fumo sui mercati finanziari. Ma quel che è peggio, a rimetterci sarebbero famiglie e imprese, sotto forma di aumento dei tassi d’interesse sui mutui e su ogni altro genere di prestito o di finanziamento. Per non parlare dei timori di un ritorno a una stretta creditizia. La Cgia di Mestre ha calcolato che 2,4 milioni di famiglie (il 9,3 per cento del totale) ha in corso un mutuo per la prima casa, per un ammontare di 340 miliardi. Per contro, sono 2,5 milioni ( la metà del totale) le imprese che hanno all’attivo prestiti bancari pari alla bellezza di 681 miliardi. La voce del Nord è chiarissima: il braccio di ferro con l’Europa non vale di sicuro il rischio di una nuova recessione.