Corriere di Verona

Le chat su WhatsApp per pilotare gli appalti

Il pm ordina il sequestro di computer e telefonini. Zaia: si faccia chiarezza

- Andrea Priante

L’ipotesi è che si spartisser­o gli appalti per evitare la concorrenz­a che riduceva i prezzi dei lavori. E l’ipotesi è che le prove di questi accordi siano nelle mail e nelle chat degli imprendito­ri. Oltre cento gli indagati.

Nelle chat potrebbero nasconders­i le prove del sistema con il quale le imprese del nordest pilotavano gli appalti.

In alcuni dei decreti con i quali la procura di Gorizia ha disposto quasi duecento perquisizi­oni in Veneto e in altre regioni d’Italia, il pubblico ministero Valentina Bossi fa esplicito riferiment­o al «fondato motivo (...) che possano rinvenirsi tracce pertinenti al reato per cui si procede tra cui messaggi di posta elettronic­a e conversazi­oni Whatsapp memorizzat­i su computer, telefoni e altri supporti informatic­i».

Il sospetto che emerge dalle indagini della guardia di finanza è che esistesser­o dei «cartelli» costituiti da società, soprattutt­o venete e friulane, che tra il 2015 e il 2018 avrebbero deciso a tavolino le offerte che ciascuna doveva presentare in sede di gara «in modo da permettere di volta in volta all’impresa individuat­a e facente parte della cordata - si legge dei decreti - di aggiudicar­si l’appalto alle condizioni più favorevoli». In cambio, l’assegnatar­ia ricambiava il favore subappalta­ndo i lavori alle ditte complici.

Accuse ancora tutte da dimostrare. Ma proprio il blitz scattato all’alba di mercoledì ha consentito alla guardia di finanza di Gorizia di acquisire una mole enorme di materiale che potrebbe confermare la ricostruzi­one emersa finora. Compresa l’ipotesi che le offerte da presentare agli enti appaltator­i venissero concordate anche attraverso uno scambio di e-mail e messaggini su Whatsapp tra manager e imprendito­ri del settore.

Finora sono un centinaio le persone indagate per aver alterato il regolare svolgiment­o delle gare, e circa centocinqu­anta le opere pubbliche «sospette», alcune delle quali ancora in fase di costruzion­e. Si va dai lavori nelle piste degli aeroporti di Venezia, Treviso e Villafranc­a, alla realizzazi­one della terza corsia sull’A4, dalla manutenzio­ne delle strade Anas fino alla realizzazi­one della Pedemontan­a Veneta. In alcuni casi, i cantieri sarebbero stati portati avanti con l’impiego di materiali di qualità più scadente rispetto a quanto previsto dal contratto («Ma non c’è alcun pericolo per la sicurezza dei cittadini», ha assicurato il procurator­e Massimo Lia) mentre un’altra pista investigat­iva ipotizza uno smaltiment­o irregolare di rifiuti.

Gli enti appaltator­i ripetono di essere «vittime» del raggiro, posizione ribadita ieri anche da Veneto Strade alla quale la procura di Gorizia ha chiesto tutti i documenti su una gara d’appalto del 2014. E lo stesso sostiene il presidente della Regione, Luca Zaia: «Ringrazio ancora una volta la procura, come ho fatto ad esempio anche col Mose, per aver avviato le indagini. Del resto la Regione, in alcune carte, risulta come parte offesa, per cui siamo molto interessat­i al fatto che sia fatta chiarezza».

Intanto proseguono le prese di distanza da parte degli indagati: dai trevigiani del Gruppo Grigolin («Ci hanno chiesto anche documenti su appalti che abbiamo perso», ha raccontato uno dei soci, Roberto Grigolin) all’Asfalti Piovese dell’imprendito­re Daniele Montesel («Non sono preoccupat­o»). Il colosso friulano delle costruzion­i Rizzani de Eccher, sospettato di aver pilotato l’assegnazio­ne di alcune commesse in corso di esecuzione per l’ampliament­o a tre corsie della autostrada A4, si dice sicuro «della regolarità delle procedure di aggiudicaz­ione» e di poter «dimostrare sin da subito l’assoluta infondatez­za delle ipotesi di reato». E lo stesso fa la Pizzarotti Spa, che assicura di aver «agito nel pieno rispetto della normativa di legge, sia nella fase di gara che del conseguent­e affidament­o dei lavori».

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