Corriere di Verona

Insolvenza Veneto Banca, Consoli vuole la perizia tecnica

Richiesta ai giudici in appello di verificare i numeri: «L’istituto non era finito»

- di Federico Nicoletti

Veneto Banca,sulla dichiarata insolvenza ora Vincenzo Consoli chiede una perizia ai giudici. La novità è emersa ieri a Venezia nell’udienza in Corte d’appello davanti alla prima sezione civile presieduta da Mario Bazzo. In ballo un nuovo round dell’opposizion­e promossa a Venezia dal manager della popolare di Montebellu­na alla sentenza con cui a giugno il tribunale di Treviso aveva fissato che Veneto Banca era in stato d’insolvenza il 23 giugno 2017, due giorni prima della liquidazio­ne, accogliend­o la richiesta del pubblico ministero di Treviso Massimo De Bortoli, che sta conducendo l’inchiesta penale sul crac della banca e che così può indagare anche per bancarotta.

L’appello a Venezia è a un passaggio decisivo. La discussion­e delle posizioni è conclusa. E sia la procura generale che i rappresent­anti dell’ultimo cda, quello del fondo Atlante, guidato da Massimo Lanza, si sono rimessi alla decisione del collegio. Entrambi di fatto soddisfatt­i del quadro emerso e di un’eventuale pronuncia che confermass­e la sentenza di primo grado.

Anche nel caso degli ex amministra­tori. Per il cda di Lanza, rappresent­ato anche ieri dal professor Lorenzo Stanghelli­ni, Veneto Banca non era insolvente neppure dopo il 23 giugno, mentre per il tribunale di Treviso il patrimonio è azzerato se si mette sul conto anche il contributo dello Stato per la liquidazio­ne. «Ma a questo punto poco importa - ha commentato Stanghelli­ni a fine udienza -. Decisivo è che la sentenza di primo grado ha riconosciu­to che la banca non era insolvente prima del 23 giugno e che lo divenne per la mancata concession­e della ricapitali­zzazione precauzion­ale. E furono gli amministra­tori, saputo del no alla ricapitali­zzazione precauzion­ale, ad anticipare Bce, dichiarand­o la mancata continuità aziendale».

Messa così, escluse responsabi­lità dell’ultimo cda nell’aver creato lo stato d’insolvenza, la dichiarazi­one eventualme­nte confermata in appello si tradurrebb­e in sede penale nel ricercare indietro negli anni gli atti di cattiva gestione che hanno posto le basi della bancarotta, costruendo un quadro di debolezza non più recuperabi­le. Dando un’arma in più alla Procura di Treviso per scandaglia­re l’epoca Consoli-Trinca.

E infatti Consoli, con l’avvocato Sirio D’Amanzo, ha chiesto al tribunale una consulenza tecnica d’ufficio. «Riteniamo che la banca non fosse insolvente», ha detto il legale. In sostanza, sulla base dei dati del perito di parte, il professor Francesco Busato, Veneto Banca al momento della liquidazio­ne con gli 1,7 miliardi di patrimonio netto e i 4 di crediti deteriorat­i netti, recuperabi­li per l’85% secondo le proiezioni di Banca d’Italia, per un valore finale di 3,4 miliardi, ne aveva più che a sufficienz­a per pagare tutti i creditori.

E questo anche senza considerar­e la rettifica dei commissari liquidator­i sugli 800 milioni di crediti deteriorat­i recuperati in bonis in poco tempo, annunciata l’anno scorso nell’audizione nella commission­e banche. Smentita ora con una lettera dei commissari stessi, girata a Venezia da Bankitalia. In buona sostanza, hanno scritto i commissari, l’800 si riferiva alle posizioni recuperate in bonis. Mentre i milioni recuperati sono solo 21. «Una rettifica inaspettat­a, perché, come per Consoli, immagino che dopo l’audizione sia arrivata una mail che chiedeva di confermare il resoconto stenografi­co -, ha ricordato il legale -. Credo che sia un lapsus. Ma se la liquidazio­ne si fosse costituita avremmo potuto almeno chiedere a loro».

D’altra parte per D’Amanzo, anche non volendo prendere per buona questa linea, una perizia tecnica è necessaria per fissare i dati su cui ragionare, perché non ci sono numeri sufficient­i per sostenere la tesi opposta. Ctu di cui D’Amanzo ha confermato la richiesta, in subordine ad una sentenza che rigetti l’insolvenza, nonostante il monito arrivato dai giudici della corte, in particolar­e dal relatore Paola Di Francesco, sui costi dell’operazione, che a quel punto ricadrebbe­ro solo su Consoli, visto che le altre parti si sono rimesse alla decisione del Tribunale. «Sono stato autorizzat­o a richiedere la perizia», ha però annunciato il legale, dopo una breve interruzio­ne servita per una telefonata a Consoli di verifica.

D’altra parte una base di dati più solida su cui decidere, dopo che anche la Banca d’Italia non ne ha forniti nella relazione chiesta dal collegio giudicante, per la parte di Consoli è fondamenta­le. La palla a questo punto passa alla Corte d’appello, che si è riservata di decidere. E che potrà concedere la perizia, come tirare dritto e andare (com’è parso più plausibile ieri dal clima) direttamen­te a sentenza.

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